Politica

I più ricchi devono dare un contributo, lo dice anche il Fmi. Perché l’Italia non ci prova?

Avete visto cosa sta accadendo?

È abbastanza insolito che un’organizzazione come il Fondo monetario internazionale, nota per aver messo in ginocchio l’economia di molti paesi del sud del mondo, oggi affermi la necessità di istituire una tassa internazionale alle multinazionali: un contributo di quelli che possiamo definire i fratelli più forti del pianeta per sostenere i fratelli più deboli, i cittadini, i poveri, le imprese sull’orlo del fallimento a causa della drammatica crisi che sta avvolgendo il mondo intero.

Ma non basta.

Persino gli Stati Uniti, la patria delle corporations, il Paese che ha garantito alle multinazionali un riconoscimento come persona, tutelate dalla costituzione americana. È proprio da lì che sta partendo l’idea che le multinazionali sostengano, con un contributo l’economia mondiale, portando questa proposta al G20, in capo all’agenda dei paesi e delle economi più influenti del mondo.

E allora perché nessuno ha seguito Beppe Grillo quando ha rilanciato la petizione polare di un giornale indipendente come il Fatto Quotidiano con l’idea di un contributo dei più ricchi, anticipando la politica mondiale? Perché quando ho depositato in Parlamento un atto che chiede un 2% per le 2700 persone che guadagnano in Italia più di 50 milioni di euro e un 3% per le 40 persone che guadagnano in Italia più di 1 miliardo di euro, una proposta timida rispetto a quella in discussione al G20, il Parlamento italiano non mi ha seguito? Era una misura faziosa? Oggi i fatti ci dicono di no.

Piuttosto mi chiedo perché in Italia manchi la tensione morale della politica e dei media su questo tema economico così strategico. Forse per paura di qualche diretta della Meloni o di Salvini? Di qualche show sulle tv commerciali? Del monito di Confindustria?

Non lo so. So che la proposta prevedeva un gettito di 10 miliardi, da spendere per le 10 emergenze più importanti del Paese.

Una su tutte: quella che coinvolge 1,2 milioni di bambini poveri in Italia, non nel Sud Africa o nelle favelas del Brasile, ma dell’Italia. E parlo di dati sottostimati perché dopo il tragico avvento di questa maledetta pandemia il rischio è di veder crescere questo numero fino a 2 milioni di bambini poveri.

Vogliamo dare un miliardo ai 2 milioni di bambini poveri nel nostro Paese per riattivare la scala sociale? Permettere a bambini e ragazzi provenienti da famiglie a basso reddito di diventare dottori, manager e presidente del consiglio? Proprio come affermava Nelson Mandela, che consegnava all’istruzione le chiavi dello sviluppo di ognuno di noi?

Questo oggi non accade più. Eppure lo Stato potrebbe impegnarsi in questa grande battaglia, ad esempio con una dote educativa universale: un pacchetto in dote a ogni bambina e bambino, ragazzo e ragazza di servizi educativi e culturali: doposcuola, un pasto caldo, il trasporto casa-scuola, insomma tutti quei servizi essenziali in grado di offrire al minore una possibilità di poter cambiare il destino della propria vita, che sembra segnato in assenza di servizi congrui e di una dote educativa universale.

Allora, se esistono questi fratelli più forti in grado di aiutare i fratelli più deboli di tutto il mondo, iniziamo dall’Italia. Secondo voi Giovanni Ferrero, Armani, Luxottica si rifiuterebbero di aiutare i fratelli più deboli? I 2 milioni di bambini più poveri del nostro Paese? Secondo me no. Sono consapevoli del fatto che gli italiani nel corso degli anni abbiano dato tanto a loro, e oggi loro potrebbero dare tanto gli italiani in un momento di crisi. Se io ho restituito allo Stato e a tutti i cittadini oltre 365 mila euro del mio stipendio, come se avessi una tassazione quasi del 50% e lo abbiamo fatto per essere da esempio, cosa vuoi che sia un 2 o 3% per gli uomini più ricchi del nostro Paese?

L’Italia può affrontare con coraggio questo tema e permettere un contributo dei grandi milionari e miliardari del nostro Paese per le 10 emergenze più gravi del Paese. Una l’ho indicata io, un altro miliardo potrebbe aiutare tutte le attività che oggi sono chiuse e che rischiano di fallire per sempre. Le altre le individuiamole insieme, in un grande dibattito pubblico nel Paese.