Il presidente americano ha formalizzato la decisione presa dopo l'incontro tra i ministri degli esteri e della Difesa della Nato a Bruxelles al quale ha partecipato anche il capo della Farnesina. Il direttore della Cia, però, lancia l'allarme: "Senza militari le nostre capacità d'intelligence diminuiranno"
Venti anni. Ecco quanto è durata la “guerra al terrore” inaugurata dagli Stati Uniti e proseguita con il supporto della coalizione Nato in Afghanistan. Dal 1 maggio ed entro la data simbolo dell’11 settembre, a due decenni esatti dall’attentato di al-Qaeda al World Trade Center di New York e al Pentagono, le truppe dell’alleanza lasceranno il Paese dove sono ancora in corso i colloqui di pace tra il governo di Kabul e i Taliban. “È ora di porre fine a questa lunga guerra”, ha dichiarato Joe Biden dando l’annuncio dell’accordo trovato tra i Paesi del Patto Atlantico impegnati militarmente nel Paese. Tra questi anche l’Italia che con il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, dichiara: “Si tratta di una decisione epocale. Si è appena conclusa una giornata storica per la Nato, dopo 20 anni di presenza in Afghanistan si è raggiunta una decisione storica. Dal primo maggio inizierà il ritiro delle truppe della Nato da quel Paese e quindi anche quelle italiane”.
“Solo gli afghani hanno il diritto e la responsabilità di guidare il loro Paese”, ha dichiarato il presidente degli Stati Uniti dalla Casa Bianca. Gli Usa, ha proseguito, hanno raggiunto il loro obiettivo in Afghanistan dieci anni fa, quando il leader di al-Qaeda, Osama bin Laden, fu ucciso da un commando americano: “Dopo, le ragioni per stare lì sono diventate sempre meno chiare. Non possiamo continuare a estendere il ciclo o aumentare la nostra presenza militare in Afghanistan sperando di creare le condizioni ideali per il nostro ritiro, aspettando un risultato diverso. Sono il quarto presidente americano a guidare la presenza di truppe americane in Afghanistan, due repubblicani e due democratici, non passerò questa responsabilità a un quinto”. Così il ritiro inizierà presto, ma dovrà comunque avvenire in maniera ordinata, non precipitoso, e sarà coordinato con gli alleati Nato, ha spiegato. Questo perché il dossier Afghanistan è tutt’altro che chiuso, con i Taliban e il governo di Kabul che devono ancora trovare un’intesa per poter guidare il Paese dopo il ritiro delle truppe straniere. Ed è proprio agli Studenti coranici che si rivolge l’inquilino della Casa Bianca, invitandoli a tener fede “ai loro impegni” contro il terrorismo e mettendoli in guardia che gli Usa chiederanno loro conto su quanto accadrà in Afghanistan: “I Taliban devono sapere che se ci attaccheranno difenderemo noi stessi e i nostri partner con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione”, ha detto.
Biden ha fatto sapere di aver informato anche George W. Bush, il presidente che ordinò l’entrata in guerra nel Paese dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre, della sua decisione. E ha poi mandato un messaggio a un altro attore che in questi venti anni ha agito nell’ombra, ma che è stato determinante per la presa del potere e i successi militari conseguiti dai Taliban, ossia il Pakistan: Biden ha chiesto a Islamabad di fare di più per sostenere l’Afghanistan. E ha aggiunto che gli Usa non perderanno “di vista la minaccia del terrorismo. Riorganizzeremo le nostre capacità anti terrorismo nella regione per prevenire il riemergere di una minaccia terroristica contro il nostro Paese. I Taliban saranno responsabili dell’impegno preso di non consentire che i terroristi minaccino dal suolo afghano gli Stati Uniti e i loro alleati. Su mia direzione il mio team sta mettendo a punto la nostra strategia nazionale per monitorare e fermare minacce significative in qualunque luogo nel quale possano sorgere, che sia in Africa, Europa, Medio Oriente o altrove”.
Anche Di Maio ha voluto ringraziare i militari italiani che in questi venti anni sono stati impegnati nel Paese, aggiungendo che l’Italia “non abbandonerà mai il popolo afghano”: “Continueremo ad aiutare anche di più con progetti di cooperazione allo sviluppo, con il sostegno alle imprese e alla società civile, la tutela dei diritti umani“.
Già in mattinata, il governo tedesco aveva preannunciato che i soldati dei Paesi Nato impegnati nel Paese si sarebbero ritirati a settembre: “Abbiamo sempre detto ‘entriamo insieme, usciamo insieme’“, ha detto la ministra della Difesa, Annegret Kramp-Karrenbauer, alla tv Ard prima della riunione di oggi dei ministri di Esteri e Difesa della Nato, alla quale ha partecipato anche Di Maio, confermando l’accordo in vista dopo l’annuncio di ieri del presidente americano. E poco dopo a parlare è stato il capo della diplomazia americana, il segretario di Stato Anthony Blinken: “È il momento di riportare a casa le nostre forze – ha detto – Insieme siamo andati in Afghanistan per occuparci di coloro che ci hanno attaccato e garantire che non diventasse nuovamente un rifugio per i terroristi che potrebbero attaccare ognuno di noi. Insieme abbiamo raggiunto gli obiettivi che ci eravamo preposti. E ora è il momento di portare le nostre forze a casa”.
Obiettivi che, però, rischiano di rimanere realizzati parzialmente. Se infatti si è riusciti a eliminare il fondatore di al-Qaeda, Osama bin Laden, con il blitz del maggio 2011 nel suo rifugio di Abbottabad, in Pakistan, è ancora in alto mare un eventuale accordo di pacificazione interna, con i Taliban che sono tornati ad avere il controllo di ampie zone del Paese. Washington e la delegazione degli Studenti coranici a Doha sono riusciti a trovare un’intesa sul ritiro delle truppe statunitensi legato a requisiti che il movimento fondato dal Mullah Omar avrebbe dovuto rispettare. Ma manca ancora l’importante stretta di mano tra i miliziani e il governo di Kabul che permetterebbe una convivenza pacifica dopo l’addio delle truppe straniere dal Paese.
I Taliban, da parte loro, continuano a pressare per una rapida uscita delle truppe straniere, minacciando ritorsioni nel caso in cui non venissero rispettate le tempistiche che inizialmente prevedevano la smobilitazione entro il 1 maggio 2021: “Chiediamo il ritiro di tutte le forze straniere secondo la data indicata nell’accordo di Doha”, scrive in un tweet il portavoce del gruppo, Zabihullah Mujahid, ricordando che in caso di “violazione” di quell’intesa “i problemi peggioreranno”. “Se verrà rispettato l’accordo, si troverà anche una strada per affrontare le questioni rimanenti – aggiunge – Se l’accordo verrà violato e le forze straniere non lasceranno il nostro Paese nella data indicata, i problemi peggioreranno sicuramente e coloro che non avranno rispettato l’accordo saranno ritenuti responsabili”. Parole che arrivano dopo che ieri il portavoce dell’ufficio politico dei Taliban a Doha, Muhammad Naeem, aveva twittato che il movimento non avrebbe preso parte alla conferenza di pace promossa dagli Usa, che dovrebbe aprirsi il 24 aprile a Istanbul, fino al ritiro di tutte le truppe straniere dall’Afghanistan: “Fin quando tutte le forze straniere non si saranno ritirate totalmente dalla nostra patria – ha scritto – l’Emirato Islamico non parteciperà a nessuna conferenza che dovrebbe prendere decisioni sull’Afghanistan”.
Posizione sostenuta anche dalla Russia, secondo cui i piani di Washington di ritirare le truppe entro l’11 settembre 2021 sono in violazione dell’accordo con i Taliban e questo potrebbe portare a una nuova escalation, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova: “L’intenzione annunciata dagli Stati Uniti di ritirare le sue truppe dall’Afghanistan entro l’11 settembre di quest’anno è una violazione evidente dell’accordo americano-talebano firmato il 29 febbraio 2020 che prevede il ritiro completo delle truppe statunitensi entro il 1 maggio di quest’anno. Ciò che è preoccupante in questo contesto è che il conflitto armato in Afghanistan potrebbe intensificarsi nel prossimo futuro e a sua volta potrebbe eventualmente minare gli sforzi verso l’inizio di negoziati diretti intra-afghani”.
Il presidente afghano, Ashraf Ghani, ha però voluto rassicurare i suoi cittadini dicendo che “è pienamente in grado” di difendersi da solo, rivelando in un tweet di aver parlato con il presidente americano Joe Biden del ritiro dei soldati americani: “Stasera ho avuto una telefonata col presidente Biden in cui abbiamo discusso della decisione Usa di ritirare le loro truppe entro i primi di settembre. La Repubblica islamica dell’Afghanistan rispetta la decisione americana e lavorerà con i suoi partner per assicurare una transizione senza scosse. La sicurezza afghana e le sue forze di difesa sono pienamente in grado di difendere il loro popolo e il loro Paese”.
Ma l’assenza delle forze armate complicherà la vita ai servizi segreti Usa, impegnati a prevenire l’insorgere di nuove minacce per la sicurezza nazionale americana e degli alleati. Il nuovo direttore della Cia, William Burns, ha infatti avvisato che smobilitare danneggerà la capacità dell’agenzia di raccogliere informazioni di intelligence nel Paese. “È un dato di fatto”, ha detto in un’audizione oggi al Senato: “La nostra capacità di tenere la minaccia sotto controllo in Afghanistan, che sia di al-Qaeda o dello Stato Islamico, ha enormi benefici dalla presenza delle truppe e della coalizione sul terreno. Quando arriverà il momento in cui i militari americani si ritireranno, la capacità degli Stati Uniti di raccogliere informazioni e intervenire sulle minacce diminuirà. Questo significa, per essere onesti, che avremo un rischio significativo quando le forze militari americane e della coalizione si saranno ritirate”, ha concluso Burns assicurando che anche dopo il ritiro la Cia manterrà una posizione nella regione tale da permettere di “anticipare e contrastare ogni tentativo” da parte dei gruppi terroristici di “recuperare la capacità di attaccare obiettivi americani”.