La marca giapponese vuole farsi portabandiera della tecnologia elettrificata, del cambio senza il tradizionale pedale della frizione e della trasmissione a quattro ruote motrici. Come? Rendendo disponibili queste tecnologie a prezzi in grado di catturare la clientela privata.
Nel business il posizionamento è tutto. Il mondo dell’auto non fa ovviamente eccezione. E mentre il mercato va verso la concentrazione dei marchi in grandi gruppi i “battitori liberi”, cioè le imprese più piccolette, possono trovare un loro perché differenziandosi, spiccando agli occhi del pubblico per alcune ragioni-chiave. La Suzuki, che ha nell’Italia il suo primo mercato europeo e il quinto al mondo, ne ha scelti tre. E cioè proporre una gamma in cui tutti i modelli siano disponibili con motorizzazione ibrida, cambio automatico e trazione integrale. A dire il vero il punto 3 non è soddisfatto al 100% (la nuova station wagon Swace 4×4 ancora non c’è) ma glielo perdoniamo.
Sul tracciato fuoristradistico dell’autodromo di Vairano, in provincia di Pavia, la casa giapponese ha presentato le versioni ibride automatiche delle sue Suv, la Vitara e la S-Cross, disponibili sull’allestimento top, lo Starview, in offerta temporaneamente al prezzo di lancio rispettivamente di 25.650 e 26.090 euro. Con il 4×4 i prezzi salgono per entrambe sopra i 28 mila euro. Anche se adesso vanno tutti pazzi per l’ibrido, personalmente credo che il jolly più caratterizzante della Suzuki sia il cambio automatico diffuso su tutta la gamma: dalla compattissima Ignis (ormai una delle poche vetture del segmento A a disporne) fino alla lungagnona Swace, familiare moderna ma del vecchio stampo.
In Giappone, pochi alieni guidano auto col cambio manuale, e per poterlo fare devi superare l’esame della patente armeggiando con le marche, un’esperienza che in pochi si sentono di fare. Pure negli Usa l’automatico domina alla grande storicamente. Qualche anno fa a Miami Beach dovevo partire presto, la mattina, e la mia Focus tre volumi a noleggio era bloccata da due grossi pick-up. Quando gentilmente chiesi ai portieri di spostarmeli per farmi passare, con un certo imbarazzo mi dissero che loro non avevano idea di come funzionasse il manuale e, profondendosi in mille scuse, mi chiesero di mettermi al volante dei furgoni e di occuparmene personalmente. Mi sentii cool, lo ammetto, e feci il car valet divertendomi assai.
Il cambio automatico è una droga. Se cominci ad adoperarlo, difficile…disintossicarsi. Il comodo doping – che non ha controindicazioni – la Suzuki lo “prezza” 1.500 euro, su tutte le macchine. Poco? Tanto? Giusto? Ai posteri l’ardua sentenza. Non voglio influenzare nessuno, tuttavia confesso di aver posseduto solo auto manuali fino a 59 anni. Da quattro anni guido una utilitaria automatica e, onestamente, non credo di tornare più indietro. Per sostanziare la sua rivoluzione automatica, la marca di Hamamatsu si affida a tre diverse soluzioni tecniche. Il CVT a variazione continua per la Ignis e la Swift, l’A/T per la Vitara e la S-Cross e l’eCVT per la Swace e l’Across. Quando affiora la nostalgia della cambiata manuale, tutti e tre gli automatici si lasciano governare manualmente con le palette piazzate sul volante.
Ma torniamo a bomba, cioè a Vairano. Sulle pendenze sterrate, nel soft fango e e sui ponticelli artificiali, l’ammiraglia Across si è trovata a suo agio anche se si capisce a occhio nudo che il familiar-suv da quasi 60 mila euro non è nato per rivaleggiare con i Land Cruiser nella steppa mongola. Sulle strade circondate da risaie e cascine, il minitest con la Vitara ibrida, automatico e integrale è servito a rinforzare la sensazione che questo B-Suv lungo 4,17 metri possa contribuire sensibilmente alla marcia tricolore della Suzuki. L’azienda, guidata da anni da Massimo Nalli, ha chiuso l’anno scorso con il 2,4% del mercato italiano, vendendo per il 97% ai privati. Percentuale da favola, per chi bada al sodo, vale a dire i conti. Nalli è un boss atipico. Pilota le conferenze stampa con piglio da conducator e spara sorridendo a palle incatenate contro le normative oggettivamente sballate dell’Europa nel fissare gli obiettivi di CO2 casa per casa: Suzuki, avendo una gamma che consuma poco, deve fare sempre meglio, come altri costruttori generalisti, e ha dovuto relegare l’amatissima Jimny al ruolo di autocarro a due posti…
A Vairano, il meeting è iniziato con la proiezione della copertina del libro di “Differentiate or Die”, del guru del marketing Jack Trout. “Un libro che ho letto a un master e che consiglio a tutti i manager”. Trout sostiene che bisogna distinguersi ma senza puntare tutto sull’altissima qualità né sul basso prezzo. Qui da noi, Suzuki vuole farsi riconosce al volo come la marca dell’ibrido, dell’automatico e della trazione integrale. A prezzi in grado di catturare la clientela privata e far sorridere i capi ad Hamamatsu. La marketing bibbia di Trout è stata pubblicata in Italia da Franco Angeli, col titolo “Differenziarsi o perire”. Sottotitolo: “Sopravvivere alla competizione distruttiva”. Roba tosta, eh? Sembra materiale per una serie su Netflix.