Sono circa 500 le targhe dedicate ai fautori della Resistenza distribuite per tutto il capoluogo lombardo, ma "spesso si passeggia senza neanche notarle". Ora la nuova iniziativa, ideata dall'Anpi municipio 6, per celebrare la Festa della Liberazione in maniera alternativa. Il presidente dell'Associazione: “Vorremmo ampliare il progetto, e creare una mappatura dei luoghi della Memoria"
Sono circa 500. Distribuite per tutta Milano: lapidi o targhe dedicate ai partigiani, deportati politici, ebrei o internati militari. Ricordano la vita e le azioni di chi si è opposto al regime fascista e rappresentano le tracce lasciate dalla memoria, per chi vive il presente e per chi vivrà il futuro. “Però spesso i Milanesi passeggiano per le vie senza neanche notarle”, commenta Roberto Cenati, presidente Anpi Milano, l’Associazione nazionale partigiani italiani. Anche quest’anno, come è stato per il 2020, il prossimo 25 aprile non sarà possibile riunirsi a causa delle restrizioni per la pandemia da coronavirus. Ecco perché Anpi ha cercato soluzioni alternative per celebrare il giorno della Liberazione. Le ha trovate il Municipio 6: dotare proprio quelle lapidi e quelle targhe dei partigiani di un qr code. Avvicinando il telefono sarà così possibile leggere le biografie e vedere le foto di chi ha combattuto per la libertà. “Un modo per avvicinare le nuove generazioni a un tema così importante per la nostra storia, e per rendere ancora più visibili i punti della città dove sono distribuite”, prosegue Cenati.
Per esempio in Piazzale Lavater, fra Lima e Porta Venezia. Qui, il 9 dicembre del 1944 una raffica di spari (fascisti) colpisce alla schiena Sergio Kasman, che muore sul colpo. Oppositore al regime, la sua vita cambia quando ha 23 anni. Dopo l’8 settembre si nasconde fra le montagne, non lontano da Chiavari, e inizia la sua attività. Il suo nome di battaglia è Marco. Milita nel Partito d’Azione e viene arrestato due volte, ma in entrambi i casi si salva. Nel marzo del 1944, secondo quanto ricostruito da Anpi, viene nominato Capo di Stato Maggiore del Comando Piazza di Milano. Un giorno dello stesso mese si traveste, indossa una divisa SS e si presenta a San Vittore, chiedendo la scarcerazione di Giuseppe Bacciagaluppi, Arialdo Banfi, dirigenti di Giustizia e libertà, e dell’ufficiale canadese Patterson. Le guardie gli credono, e i tre vengono liberati. Per questo, e per tante altre azioni, gli è stata conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria. Il suo nome è iscritto sotto le volte della Loggia dei Mercanti, insieme ad altri 1738 Combattenti per la Libertà.
“Vorremmo ampliare il progetto, e creare una mappatura dei luoghi della Memoria a Milano, città così cruciale per la Resistenza”, prosegue Cenati. “Per esempio, ricordare le grandi fabbriche che hanno lottato nello sciopero generale dall’1 all’8 marzo del 1944. Come La Fabbrica Bianchi, che aveva la sede in Viale Abruzzi. E la Olap, in Città Studi. Ci sono i muri, e sarebbe interessante applicare anche a questi un qr code che rimandi a siti web. Per spiegare, raccontare e ricordare. È una proposta alla quale stiamo lavorando”.
Agli scioperi generali aveva partecipato anche Adriano Pogliaghi. La sua targa si trova in via Segneri 8, al Giambellino, ed è stata vandalizzata di recente. Arrestato, viene obbligato ad arruolarsi in Marina. Riesce a scappare e torna a Milano, dove prosegue l’attività antifascista. In seguito subisce un secondo arresto: prima San Vittore, poi Mauthausen. Muore il 19 aprile del 1945, a 22 anni.
Jenide Russo era poco più grande di lui ed è ricordata in via Paisiello 7, dove abitava. Vive l’antifascismo in famiglia, poi in prima persona. Dall’8 settembre diventa staffetta partigiana. Il suo compito è fornire armi e munizioni alla Brigata Garibaldi operativa a Villadossola. L’esperienza dura però pochi mesi. Nel febbraio del 1944 viene tradita (non si sa da chi) e arrestata. La portano a Monza, dove subisce torture. Segue una permanenza a Fossoli, fino all’agosto del 1944. Poi un trasferimento a Ravensbruck, lager femminile nella Germania nord orientale. La strada finisce a Bergen Belsen, dove si ammala di tifo. Anpi Milano ha ricostruito la sua vicenda anche grazie ad alcune lettere inviate per via clandestina alla madre. Nel maggio 1944, durante la detenzione a Fossoli, scriveva così: “Siccome a Monza non volevo parlare con le buone, allora hanno cominciato con nerbate e schiaffi. Mi hanno rotto una mascella (ora è di nuovo a posto). Il mio corpo era pieno di lividi per le bastonate; però non hanno avuto la soddisfazione di vedermi gridare, piangere e tanto meno parlare”. Muore a 28 anni, il 26 aprile del 1945. L’Italia era libera da un giorno: il merito è anche suo.
Immagine d’archivio