Pare destinata a finire in archivio l’indagine della Procura di Belluno su un primario che aveva continuato a visitare i pazienti anche se presentava sintomi del Covid. La Cassazione ha infatti respinto il ricorso della Procura di Belluno che avrebbe voluto sospendere dal lavoro tre medici coinvolti in un’indagine per epidemia colposa, falso e favoreggiamento. Il ricorso è stato dichiarato “inammissibile” e quindi non ci sarà nessuna misura interdittiva per la durata di tre mesi nei loro confronti, come aveva chiesto il procuratore Paolo Luca.
I medici dell’ospedale San Martino di Belluno sono Roberto Bianchini, primario di Otorinolaringoiatria, Raffaele Zanella, ex direttore medico dell’Ulss Dolomiti, e Antonella Fabbri, responsabile dell’ufficio Affari Generali e Legali dell’azienda sanitaria. In un primo tempo era stato il gip a respingere la richiesta, poi la decisione era stata confermata dal Tribunale del Riesame di Venezia. Dopo la sentenza della Cassazione, il procuratore ha dichiarato: “Sono amareggiato perché il ricorso aveva esposto ragioni in diritto che sembravano fondate. Sulla base di questi elementi si chiederà l’archiviazione”.
L’inchiesta aveva creato scalpore perché riguardava il primo focolaio di Covid all’ospedale. Bianchini a febbraio era stato in vacanza in Thailandia. Era rientrato il giorno 24, ovvero tre giorni dopo il primo decesso italiano che si era registrato nel Padovano. Secondo l’ipotesi d’accusa, il medico non aveva comunicato di essere rientrato da una zona a rischio. Aveva continuato a visitare i pazienti anche se aveva presentato alcuni sintomi del Covid. Solo il 9 marzo si era sottoposto a un tampone che era risultato positivo. Era così scattata l’accusa di epidemia colposa. Gli altri due medici, oltre a due componenti dell’Ufficio procedimenti disciplinari dell’Ulss Dolomiti, erano stati indagati per favoreggiamento personale e falso ideologico, a causa dell’indagine interna sul primario Bianchini, che non aveva avuto conseguenze disciplinari.
In realtà i giudici veneziani avevano sottolineato una “colpevole sottovalutazione della situazione” e una “chiara superficialità” nel comportamento del primario, ma avevano escluso che quattro infetti (entrati in contatto con lui) costituissero un’epidemia e che si potesse provare il nesso causale con lo scoppio del focolaio, visto che le fonti di contagio avrebbero potuto essere anche diverse.
Commento dei difensori, gli avvocati Massimo Moretti e Sandro De Vecchi: “Siamo contenti che i provvedimenti del Tribunale della Libertà di Venezia e del gip di Belluno siano stati confermati a un livello così autorevole”.