Un sistema di convenienze economiche e politiche che lega alcuni imprenditori del comparto conciario di Santa Croce sull’Arno, in provincia di Pisa, amministratori locali, consiglieri ai vertici della Regione e anche la ‘ndrangheta calabrese. C’è tutto questo nello scandalo sullo smaltimento illegale di rifiuti che ha travolto la Toscana, fino a toccare uno degli uomini più vicini al presidente della Regione, Eugenio Giani, come il suo capo di gabinetto Ledo Gori, descritto dai pm Eligio Paolini e Giulio Monferini della Direzione distrettuale antimafia (Dda) fiorentina, riportate dal Tirreno, come l’anello di congiunzione tra il malaffare e la politica.
Gori, che risulta indagato per corruzione, è in rapporti stretti con alcuni membri dell’Associazione Conciatori del Comune in riva d’Arno che hanno fatto pressione per riconfermarlo, dopo il mandato con Enrico Rossi, come capo di gabinetto del nuovo governatore Giani, con amministratori locali conniventi e con imprenditori che la magistratura ritiene collegati alla ‘ndrangheta. Un sistema che, si legge, ha avuto come risultato lo sversamento di scarti del processo di concia delle pelli, estremamente inquinanti, in varie zone del territorio toscano, con un risparmio per i conciatori coinvolti stimato in 28 milioni di euro. Ben 8mila tonnellate di questi fanghi sono stati utilizzati per la costruzione del nuovo tratto della strada regionale 429 tra Empoli e Castelfiorentino.
IL SISTEMA – Tutto parte proprio dagli accertamenti svolti sui lavori per la realizzazione del lotto V della 429. Secondo chi indaga, sotto il nuovo asfalto si nascondono 8mila tonnellate di Keu, sigla che indica le ceneri di risulta della combustione dei fanghi conciari che, a causa della loro alta tossicità, non possono essere impiegate nel settore dell’edilizia bensì devono essere smaltiti come rifiuti speciali. Invece, sostiene l’accusa, sono stati miscelati ad altri materiali diventando il ‘rilevato’ della strada, lo strato collocato sotto l’asfalto, con un grave rischio inquinamento anche delle falde acquifere.
Questo è stato possibile grazie al trasferimento dei fanghi, dopo il trattamento ad opera del Consorzio Aquarno di Santa Croce, in un impianto di depurazione a Pontedera, gestito da Francesco Lerose, 57 anni, residente in provincia di Crotone, dove venivano miscelati abusivamente e poi inviati nei vari cantieri. Ma Lerose è considerato dagli investigatori personaggio in contatto con ambienti criminali della cosca Gallace di Guardavalle. Lo stesso clan che aveva messo le mani sui lavori di movimento terra nell’appalto del lotto V della 429 attraverso un imprenditore del Mugello.
Sono i vertici dell’Associazione Conciatori di Santa Croce sull’Arno che, però, gestivano localmente quella che le carte definiscono un’associazione a delinquere che era arrivata a coinvolgere, secondo le accuse, anche la sindaca di Santa Croce, Giulia Deidda (Pd), verso la quale non viene però contestato alcun legame con la ‘ndrangheta ma che si era mossa in prima persona per favorire nomine, con importanti agganci nella politica, e cercare di togliere di mezzo tecnici di Arpat considerati una minaccia ai piani del gruppo di conciatori.
Arrestati con l’accusa di associazione per delinquere nell’inchiesta sui reati ambientali sono l’imprenditore Francesco Lerose, residente a Cutro (Crotone) ma di fatto domiciliato a Pergine Valdarno (Arezzo), amministratore unico della Lerose srl e della Kyterion srl, gestore dell’impianto di riciclaggio di Pontedera (Pisa). Ai domiciliari Alessandro Francioni, originario di Lucca e residente a Castelfranco di Sotto (Pisa), fino al 2019 presidente dell’Associazione conciatori e membro del consiglio di amministrazione del consorzio Aquarno, Piero Maccanti, di Castelfranco di Sotto (Pisa), direttore dell’Associazione conciatori fino al gennaio del 2019, Aldo Gliozzi, residente a Ponsacco (Pisa), direttore dell’Associazione conciatori dal febbraio 2019, Manuel Lerose, residente a Pergine Valdarno (Arezzo), dipendente della Lerose srl e gestore dell’impianto di riciclaggio di Bucine (Arezzo), Annamaria Faragò, residente a Pergine Valdarno (Arezzo), responsabile della gestione amministrativa delle aziende della famiglia Lerose.
IL RUOLO DELLA POLITICA – Al centro di questa vicenda appare la figura del capo di gabinetto di Eugenio Giani, Ledo Gori. È lui, secondo le carte, lo snodo che permetteva i collegamenti tra le varie anime della vicenda. Un ruolo ricoperto in cambio della conferma da parte del governatore, che non risulta indagato, nel ruolo già ricoperto durante il mandato di Enrico Rossi. Gori, secondo l’accusa, si è infatti conquistato la riconferma piegandosi alle richieste dei conciatori del distretto del Cuoio. “Autorizzazioni più morbide sullo smaltimento dei residui della lavorazione delle pelli, deroghe agli sforamenti sull’utilizzo di metalli pesanti, pressing su dirigenti ostili dell’Arpat, la garanzia di usare la manica larga sui finanziamenti elargiti dal 2004 a oggi dall’ente al Consorzio”, scrive Il Tirreno, sarebbero stati la merce di scambio per ottenere il rinnovo di un ruolo che vale uno stipendio da 100mila euro all’anno, secondo la gip Antonella Zatini.
Ma il caos a Palazzo Strozzi Sacrati non finisce qui. Indagato per abuso d’ufficio risulta anche Edo Bernini, dirigente regionale dell’Ambiente, accusato di aver chiuso un occhio sui via libera allo smaltimento dei rifiuti e sul mancato adeguamento degli impianti alle leggi. Infine, le accuse toccano anche l’ex presidente della Provincia di Pisa e oggi consigliere regionale Pd, Andrea Pieroni, che avrebbe presentato, dietro la promessa di appena 2-3mila euro per finanziare la campagna elettorale, un emendamento alla legge regionale 20 del 2006 sulla tutela delle acque dall’inquinamento scritto dall’avvocato Alberto Benedetti, consulente legale dell’Associazione Conciatori, che avrebbe favorito il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti dei conciatori. Pieroni si è reso disponibile a presentare l’emendamento, poi impugnato dal governo Conte, di cui in realtà nemmeno “conosceva e comprendeva il contenuto”, secondo Benedetti.
Continuando ad analizzare il ruolo della politica nello scandalo che ha colpito la Toscana, emerge con forza anche la figura di Giulia Deidda, la sindaca di Santa Croce, l’unica amministratrice accusata di associazione a delinquere. Era lei a essersi resa disponibile a esercitare la propria influenza per la riconferma di Gori o con Antonio Mazzeo per chiedergli di “levare dal cazzo” Alessandro Sanna, dirigente Arpat (l’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana) sgradito ai signori del Cuoio. “Ledo bisogna che rimanga per fare tutto quello che ha fatto finora”, dice la prima cittadina al telefono col direttore dell’Assoconciatori. È sempre la sindaca “a partecipare alle azioni di condizionamento sull’operato del funzionario della Regione Toscana incaricato di istruire la pratica di Aia (autorizzazione integrata ambientale) per Aquarno”.
Gli investigatori, pur non inserendolo nel registro degli indagati, analizzano anche alcuni incontri tenuti tra l’allora candidato alla presidenza della Regione, Giani, e gli imprenditori del Comprensorio del Cuoio. Nel marzo 2020, si sono tutti ritrovati per una cena che nelle carte è citata come l’incontro decisivo per la riconferma di Gori. A tavola con Giani, scrive il quotidiano toscano, ci sono Piero Maccanti e Aldo Gliozzi, direttore e vice dell’associazione che gestisce il depuratore dell’Acquarno, l’impianto che dovrebbe ripulire le acque delle concerie. È in quell’occasione che fanno pressione sul candidato Dem alle Regionali per la riconferma di Gori, mettendola come “condizione essenziale”, scrive la gip, per avere il sostegno elettorale dei conciatori e “del bacino di voti che sono in grado di orientare”.
L’unica conferma di questo patto fra Gori e gli imprenditori, però, sarebbe un pranzo organizzato dopo il 20 settembre 2020, a elezioni avvenute, anche alla presenza di Enrico Rossi, perché per lui Gori continuerebbe a cercare “contributi”. E qui Gori “ringrazia” i conciatori per aver avanzato la richiesta a Giani che ha già provveduto a nominarlo, confermando di essere “a loro disposizione”.
Se Enrico Rossi si è già esposto a sostegno di Gori, dicendo di “poter mettere la mano sul fuoco sulla sua onestà”, a 24 ore dalla diffusione della notizia Giani non ha ancora rilasciato dichiarazioni. Il punto, adesso, è se confermare la fiducia al suo braccio destro, in attesa di ulteriori elementi che potrebbero emergere dalle indagini, oppure cacciarlo per allontanare lo scandalo da Palazzo Strozzi Sacrati.