Diritti

I primi quarant’anni della ‘polizia nuova’: ora si può pensare di andare oltre

Il Sindacato Italiano Lavoratori Polizia ha organizzato per il 22 aprile un interessante webinar sul tema della riforma della Polizia di Stato. Nel 2021 compie infatti i suoi primi quarant’anni quella “polizia nuova” disegnata dalla legge 121 del 1° aprile 1981, entrata simbolicamente in vigore il 25 aprile.

La modernizzazione della Polizia, avversata dalle solite variopinte resistenze reazionarie, si realizzò col passaggio dalla stantia struttura militare del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza alla più snella ed efficiente Polizia di Stato che oggi conosciamo. Il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, militarizzato nel 1943, era caratterizzato da una struttura complessa e appesantita dalla burocrazia, da una formazione professionale carente, dalla distrazione di cospicue risorse per servizi non operativi, dall’assenza di diritti per il personale e da una disciplina asfissiante.

A questi difetti, dobbiamo aggiungere la presenza nei posti di comando di un gran numero di ufficiali fortemente compromessi con il regime: non solo non ci fu una opportuna “epurazione”, ma – come racconta Michele Di Giorgio nel suo “Per una polizia nuova” (Viella, 2019) – riuscirono a fare sfavillanti carriere persino molti capi zona dell’Ovra, la famigerata polizia segreta del fascismo.

Insomma, la neonata Repubblica si era affidata a una polizia lontana anni luce dai valori democratici, a un corpo “separato” che rispondeva piuttosto a istanze repressive e a una persistente concezione autoritaria dei rapporti tra Stato e cittadino. Per questo, intorno ai poliziotti, si era naturalmente formato nel tempo un alone di diffidenza difficile da scalfire.

All’incontro del Silp Cgil parteciperà, oltre a Maurizio Landini, anche un grande sindacalista del passato come Giorgio Benvenuto. Proprio l’ex segretario generale della Uil ci ha spiegato – nella sua prefazione al libro di Cesare Vanzella Il caso Annarumma. La rivolta nelle caserme e l’inizio della strategia della tensione (Castelvecchi, 2019) – come i sindacati confederali scoprirono, in ritardo, che i poliziotti “erano lavoratori anche loro con tanti problemi, tanti doveri, pochi diritti”. Proprio nei giorni in cui l’estrema destra strumentalizzò la morte dell’agente Antonio Annarumma – avvenuta a Milano, in circostanze mai chiarite, durante la grande manifestazione sindacale del 19 novembre 1969 – i sindacalisti di Cgil, Cisl e Uil cominciarono a comprendere quanto fosse importante dedicarsi anche ai diritti dei poliziotti, superando sciocche logiche di contrapposizione.

Negli anni Settanta, ai tempi delle stragi, della violenza eversiva e dei depistaggi, le forze migliori del nostro Paese compresero finalmente che bisognava tutelare i diritti dei lavoratori in divisa e che era indispensabile dar vita a una polizia capace di contrastare meglio la criminalità organizzata e il terrorismo, che fosse anche – per usare le parole di Stefano Rodotà – “meno disponibile per spregiudicate operazioni di potere”. Perciò i sindacati e i partiti progressisti si affiancarono al movimento dei “poliziotti democratici” per ottenere una riforma che arriverà dopo tante battaglie solo nel 1981.

La legge 121 è servita senza dubbio a “efficientare” (perdonate il burocratese) la Polizia e ad avvicinare il poliziotto alla società, ma fu in ultima analisi il frutto di un “compromesso al ribasso”: il Parlamento scelse la strada del sindacalismo scollegato dalle confederazioni degli altri lavoratori, facendo nascere così organizzazioni intrinsecamente deboli e ingenerando un rischio costante di derive corporativistiche. Sono passati quarant’anni da quella riforma e ormai possiamo pensare di andare oltre.

Daniele Tissone, segretario generale del Silp, ha più volte auspicato un ulteriore “avanzamento” sul terreno dei diritti sindacali e della confederalità: i tempi sono maturi per cancellare il divieto di adesione del sindacato di polizia alle confederazioni sindacali. Una limitazione, questa, che appariva già allora a Franco Fedeli – mitico direttore della rivista “Ordine Pubblico” che contribuì più di ogni altro alla causa dei diritti dei poliziotti – “in aperta contraddizione con la crescita
democratica del Paese e con i principi delle libertà sindacali sanciti dalla Costituzione”.