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New York Times elogia Mario Draghi: “La sua voce è sempre di più la voce di tutta l’Europa. Si rafforza il peso dell’Italia nell’Ue”

Il quotidiano statunitense ricorda il ruolo svolto da Mario Draghi nella vicenda dei vaccini e le prime mosse sullo scacchiere internazionale. Con i prossimi appuntamenti elettorali sia Angela Merkel che Emmanuel Marcon potrebbero uscire di scena creando un vuoto nell'UE che il presidente italiano è pronto a riempire

Il New York Times, principale quotidiano statunitense, dedica oggi un lusinghiero commento al ruolo sinora svolto da Mario Draghi. Firmato dal responsabile della redazione romana, Jason Horowitz, l’articolo appare in prima pagina con titolo “Il nuovo leader che rafforza il ruolo dell’Italia in Europa”. Il New York Times ricorda come Draghi si pronto ad occupare un vuoto di potere a livello europeo destinato ad aprirsi con la prossima uscita di scena di Angela Merkel e forse, il prossimo anno, anche di Emmanuel Marcon. “Nel breve periodo passato a palazzo Chigi, Draghi ha sfruttato le sue relazioni e le sue competenze per muoversi nelle istituzioni europee e la sua reputazioni quasi messianica attribuisce all’Italia un peso che in Europa non aveva da decenni”. L’impressione, scrive il New York Times, è che la voce di Draghi sia sempre di più la voce dell’Europa. Anche per l’inconsistenza di un’ Ursula von der Leyen giudicata sinora piuttosto opaca.

Il quotidiano ricorda le mosse dell’ex presidente della Banca centrale europea in fatto di vaccini. Prima con il blocco delle dosi destinate all’Australia, poi con un ruolo che sarebbe stato molto attivo nel condurre le trattative con la case farmaceutiche. Draghi sarebbe stato il primo leader a spingere per un ruolo più muscolare da parte di Bruxelles nei confronti dei fornitori, sostenuto poi in questa linea dagli altri capi di stato. Sul piano delle relazioni internazionali l’articolo rimarca la prima visita all’estero, in Libia, dove Draghi “cerca di restaurare l’influenza italiana persa negli ultimi anni”. A New York non è passata inosservata neanche la netta presa di posizione nei confronti del presidente turco Recep Tayyp Erdogan definito da Draghi “dittatore”.

Più dei i contenuti, nulla che non si sapesse già, ad essere rilevante è il peso politico dell’analisi del New York Times. Non è un mistero che tra l’establishment statunitense di area democratica e il presidente del Consiglio esista da tempo un legame speciale. Draghi ha perfezionato la sua formazione giovanile al Mit di Boston e ha da tempo relazioni di altissimo livello con economisti e politici Usa. Prima di approdare a Banca d’Italia poi e Banca centrale europea dopo, Draghi è stato vicepresidente europeo di Goldman Sachs, la più importante banca d’affari statunitense. Il sostegno Usa ha avuto un peso anche nella sua nomina alla presidenza della Banca centrale europea. Washington guarda a Draghi come al leader in grado di invertire la linea degli ultimi governi favorevole ad un avvicinamento con Pechino, così come al capo di Stato in grado di fare fronte comune con la Francia per arginare l’influenza tedesca sul continente. Segnali di da Roma ne sono già arrivati, sia a parole che nei fatti. Nel suo discorso di insediamento Draghi ha sottolineato che “Questo governo sarà convintamente europeista e atlantista”. La scorsa settimana il governo ha utilizzato la golden power per bloccare l’ingresso di capitali cinesi in un’azienda lombarda che opera nel settore, strategico, dei semiconduttori.