Che cosa è un rischio? È la probabilità che qualcosa possa accadere. E che cosa è la probabilità? È un rischio che valutando certe circostanze ci si può attendere. Ieri il premier Mario Draghi ha annunciato un allentamento delle restrizioni quindi l’avvio delle riaperture a partire dal 26 aprile dicendo che si tratta di un “rischio ragionato”.
Ma se calcoliamo effettivamente come stanno andando nel nostro Paese le performance della pandemia (solo ieri 15943 nuovi casi 429 decessi) anche tenendo conto delle evoluzioni positive dei vari indici di misurazione, quello che Draghi chiama “rischio ragionato” in realtà è un certo grado di rischio inevitabile e accertabile come tale. Cioè Draghi non ragiona con il rischio zero ma con un rischio che, punto più punto in meno, resta comunque un rischio reale. Il che vuol dire che la sua decisione di riaprire costituisce con assoluta certezza una maggiore probabilità di ripresa della pandemia. Che è come buttare benzina sul fuoco.
Questa decisione, giusta o sbagliata che sia, stabilisce una discontinuità epistemica importante, nel senso che le scelte politiche di Draghi che sino ad ora sono state suggerite dalle evidenze scientifiche ora dipendono sempre più da quelle che potremmo definire “rilevanze politiche”. Innegabili rilevanze politiche sia chiaro. Infatti, la sua decisione, a dire il vero, sembra rispondere più alla piazza esasperata e alle pressioni della destra che non alla scienza. Questo per me è un segno di preoccupazione.
Draghi certamente è il grande banchiere che tutti conosciamo, ma essere un grande banchiere non vuol dire essere automaticamente un grande politico. Il banchiere segue le regole economiche come un astrofisico segue le leggi dell’universo, ma il politico naviga a vista, accetta l’estemporaneo, la sfida della complessità dell’imprevisto, si confronta con le situazioni e decide senza evidenze davvero ragionando a 360 gradi. Il banchiere è attento ai significati finanziari dei fatti, un politico è attento al senso del mondo in cui avvengono i fatti. Ho paura che sia più facile governare la Bce che non una pandemia.
Ieri nella conferenza stampa del premier non solo mi ha colpito il concetto discutibile di rischio ragionato, ma anche che Draghi in quella circostanza, per difendere giustamente il ministro Roberto Speranza dall’attacco sconsiderato della destra che vorrebbe sfiduciarlo, ha ribadito pubblicamente la sua stima personale verso di lui. Un politico sicuramente avrebbe difeso Speranza per difendere il proprio governo, ma sulla stima personale considerando i contesti sarebbe stato più cauto.
Con la faccenda di Ranieri Guerra quindi con l’inchiesta di Bergamo è possibile che Speranza sia prima o poi chiamato in ballo come ministro, e poi l’attività di un ministro della Salute – specie in questa pandemia – non è mai al riparo delle critiche, al contrario come è il caso di Speranza, in molti ambiti, è oggetto di significative perplessità. Per cui un politico non può escludere la possibilità teorica, specie in circostanze difficili e complicate che un ministro si riveli poco adeguato al suo incarico e debba cambiarlo. In questi casi sarebbe dura rimangiarsi la stima dichiarata.
In conclusione, mi pare rispetto alla pandemia sia cambiata da parte di Draghi quella che gli esperti definiscono “la percezione del rischio”, quella che in genere fino ad ora ha orientato le sue scelte politiche. Per uno come lui allontanarsi dalle evidenze scientifiche è molto pericoloso. Non solo, ma allontanarsi dalle evidenze scientifiche affidandosi ad un ministro che non mi sembra in grado di sostenere i rischi ragionati di Draghi e le sue aperture con adeguati interventi di politica sanitaria, mi sembra un rischio nel rischio. Per cui mi dispiace dirlo ma temo il peggio. Per me non si tratta di un rischio ragionato ma esattamente il contrario.