La lettera\denuncia di Luigi Vittorio Berliri, presidente di Casa al Plurale e della cooperativa Spes contra Spem. “Il Lazio è una delle migliori regioni in Italia, la più veloce ad attuare il piano vaccinale” afferma, “ma manca ancora un pezzo". L'Asl Roma 1 assicura: "Abbiamo seguito le indicazioni della programmazione regionale. Ma entro la fine del mese completeremo la programmazione"
“Chiediamo che vengano subito effettuati i vaccini come si è già fatto per le RSA anche a tutti gli operatori delle case famiglia che assistono a stretto contatto persone con gravi disabilità che non mettono la mascherina. Se una sola persona dovesse ammalarsi di Covid, a effetto domino, in poco tempo tutti sarebbero contagiati. Con conseguenze terribili, perché l’esperienza dell’isolamento per una persona con grave disabilità sarebbe estrema. C’è il forte rischio di far morire tutti”. A denunciarlo a Ilfattoquotidiano.it è Luigi Vittorio Berliri, presidente di Casa al Plurale e della cooperativa Spes contra Spem. Casa al Purale è un’associazione senza scopo di lucro, costituita nel 2006 per rappresentare le organizzazioni che operano nel Lazio a sostegno delle persone disabili, dei minori in stato di abbandono e delle donne con bambino che vivono situazioni di grave fragilità sociale, con particolare attenzione al tema della residenzialità. Attualmente gestisce 60 case famiglia, ciascuna ospita circa 6/8 persone, per un totale di circa 400 persone oltre a 600 operatori socio sanitari.
La loro richiesta non nasce oggi. Nello scorso dicembre hanno inviato un accorato telegramma alla Regione Lazio, segnalando l’esclusione dal piano vaccinale degli operatori che lavorano a meno di un metro dagli ospiti delle abitazioni. “Il 16 dicembre 2020 – dice Berliri – mi chiamarono dall’Assessorato alla Sanità per tranquillizzare e dire che “le case famiglia saranno vaccinate assieme alle RSA, con priorità”, come è giusto e sacrosanto che sia. Questo era nelle intenzioni della Regione, ma la comunicazione non è mai arrivata alle ASL. Per cui ogni ASL ha deciso in autonomia cosa fare. Fino ad aprile quasi nulla. Ora alcune ASL hanno deciso di vaccinare le case famiglia, altre no. Altre ancora hanno adottato un criterio parecchio buffo: “Un operatore per ciascuna persona con disabilità ospite in casa”, ma ci sono più operatori che seguono un singolo soggetto fragile e seguendo tali indicazioni qualcuno sarebbe escluso dalle vaccinazioni”. Contattata dal Fatto.it l’ASL Roma 1 in merito alla programmazione delle somministrazioni ad utenti e operatori delle case-famiglia ha dichiarato che: “Abbiamo seguito le indicazioni della programmazione regionale, vaccinando prima i disabili gravissimi (Legge 104 art. 3 comma 3) e l’operatore a stretto contatto con l’utente, in linea con la necessità di mettere subito in sicurezza le persone più fragili. Questo non vuol dire che gli altri operatori non saranno vaccinati, al contrario la programmazione è stata già avviata per tutti i sei distretti della ASL Roma 1 e la prima dose in buona parte somministrata. Entro la fine del mese la completeremo, per poi passare alla seconda dose”.
Le case-famiglia, in moltissimi casi, sono una risposta assai efficace alla domanda del Dopo di noi, con assistenza diretta in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno famigliare. “E’ una bella risposta a esigenze e bisogni specifici, si danno risposte pratiche. Si tratta di un contesto diverso rispetto alle strutture prettamente sanitarie. Le case famiglia sono state dimenticate dalla sanità, il concetto di salute è però più esteso e variegato. Consente una vita tranquilla al di fuori degli ospedali” rivendica il presidente di Casa al Plurale. E segnala che “una persona in casa famiglia se si prende il Covid è quasi sicuramente destinata a morire. Bisogna ricordarsi che ci sono operatori specializzati che sono sottoposti ogni 15 giorni al tampone, ma a loro non viene fatto il vaccino. Si dovrebbe fare immediatamente a tutti gli operatori la somministrazione vaccinale soprattutto per tutelare gli ospiti delle abitazioni, non solo per i lavoratori che comunque – continua – da oltre un anno si auto impongono dei limiti molto severi, stanno facendo una vita monacale per garantire la sicurezza dei loro assistiti. Questi professionisti meritano di ricevere il prima possibile il vaccino”. Il numero uno della cooperativa Spes contra Spem esorta infine la Regione Lazio di “ripensare alla politiche di integrazione sociale e sanitaria. La “cura” dei cittadini più fragili non è solo fatto di camici e ospedali, ma anche di tanto lavoro sociale. Chiediamo da anni di rivedere le tariffe delle case famiglia, che prevedono, ad oggi, la metà esatta di quanto serve per pagare gli stipendi di chi ci lavora. Occorrono maggiori investimenti nel settore”. Berliri però ci tiene a sottolineare come la campagna vaccinale regionale non sta andando male, anzi. “Il Lazio è una delle migliori regioni in Italia, la più veloce ad attuare il piano vaccinale” afferma, “amici medici mi raccontano che c’è una organizzazione fantastica e una ottima programmazione. Manca ancora un pezzo. La strada verso il ponte. Quel pezzo che manca è il vaccino a tutti gli operatori delle case famiglia per proteggere le vite delle persone disabili ospiti” conclude Berliri.