Massimo Capra è partito quarant'anni fa su invito di un cugino, che in Canada aveva due ristoranti. Quando arriva non sa l’inglese ma lo impara presto leggendo libri e divorando giornali. E cinque anni fa apre il suo locale. Anche se il pensiero è quello di tornare in Italia
Da piccolo a Sesto, paesino di poche anime alle porte di Cremona, faceva due cose: giocare coi Lego e guardare mamma cucinare. I mattoncini di plastica li ha abbandonati con l’età, i fornelli invece da passione sono diventati il suo lavoro. Oggi Massimo Capra – 60 anni, sposato, un figlio ed un altro perso ancora troppo giovane due anni fa a Praga – è un affermato chef in Canada. “Ravioli, bolliti, gnocchi. Ho portato un po’ di Italia – racconta al fatto.it – dall’altra parte del mondo”. Il papà contadino, sempre nei campi. La madre, una persona autorevole che si prendeva cura di tre figli, tra cui Massimo, l’ultimo di tre. L’amore per la cucina in tenera età.
“Ho imparato a preparare due-tre cosette. E andavo pure dalla vicina a cucinare le uova al tegamino e gli spaghetti al pomodoro”. Ma è la scuola che l’ha fatto diventare un cuoco. Alle medie non era certo il primo della classe Massimo: “Ero vivace, forse troppo. E spensierato. Mi consigliarono un corso di studi professionale”. Casa, scuola. Ovunque si trovava, Massimo finiva in cucina. Nella trattoria per camionisti della sua Sesto aiutava la padrona a preparare i bolliti e si occupava della cosiddetta mise en place, ossia apparecchiava la tavola cercando di personalizzarla. Poi c’è stata la scuola alberghiera a Salsomaggiore: alle sei di mattina in motorino per andare in stazione, treno per arrivare a scuola, un giorno di lezione, poi il ritorno a casa. “È qui che mi si è aperta la mente. Con l’istruttore-chef che mi diceva: se vuoi andare avanti devi calmarti”.
Cominciano così le stagioni negli hotel, in giro per l’Italia a fare le prime vere esperienze. La svolta professionale al funerale della zia. Incontra il cugino del Canada con due ristoranti che gli propone di lavorare con lui. “Non posso, devo ancora fare il militare”, risponde Massimo. Presto fatto: al termine del servizio di leva, parte per il Nord America. È il 1982. “Sono passati quasi quarant’anni, ma ricordo tutto alla perfezione. Arrivo là – ricorda lo chef a ilfatto.it – ed è uno choc tremendo”.
Massimo gira per la città di Toronto, non sa l’inglese ma lo impara presto leggendo libri e divorando giornali. Nonostante di tempo non ne abbia: il ristorante è sempre “busy”, occupato, dice Massimo parlando spesso in inglese ma tradendo di tanto in tanto le sue origini cremonesi. E poi la gente, aggiunge, “qui mangia a tutte le ore. Dalle 17 non si fermano più. Volevo cucinare io la pasta fresca, ho dovuto insegnare ad altri a farla”. La sua cucina “speziata e ben condita” è stata assaggiata da tanti vip del mondo del cinema, dello spettacolo e della politica. De Niro? “Un buongustaio”. Depardieu? “Entrava dalla cucina, assaggiava tutte le salse e se ne andava”. E ancora: Tom Cruise, Peter Ustinov, Christopher Plummer.
E cinque anni fa Massimo realizza il sogno sempre chiuso nel cassetto: un ristorante tutto suo. Marocco, Tunisia, Libano, Grecia, Spagna. In ogni Paese ci sono sapori diversi. E Massimo, che ha viaggiato e imparato tanto in giro per il mondo – “e spero di tornare a farlo presto” – nel suo menu nel locale di Mississauga, città attaccata a Toronto, vuole mettere tutto il bagaglio di esperienze costruito negli anni. Massimo partecipa da anni a programmi di cucina su tv locali. E non è tenero coi colleghi: “Fino a 10 anni fa era difficile vedere un cuoco in tv. Oggi basta fare due piatti sui social e diventi famoso. Prima non era così: dovevi sapere cucinare per davvero”.
Soddisfatto del suo lavoro e della sua vita “canadese”, lo chef partito da Cremona in Italia vorrebbe tornarci. “Con la famiglia avevamo già un progetto, poi la pandemia ha bloccato tutto, ci abbiamo ripensato”. Da ottobre il suo ristorante è chiuso, solo asporto. “Ne ho approfittato per ristrutturarlo. Ma ci vorranno almeno cinque o sei mesi, “anyway”, comunque, per recuperare quanto perso nell’ultimo anno”.