L’annuncio delle riaperture dal 26 aprile mentre i dati di morti e contagi da Covid restano alti e la campagna di immunizzazione resta condizionata ai ritardi nelle consegne dei vaccini e all’organizzazione delle somministrazioni da parte delle regioni, preoccupa gli esperti, contrari alla ripresa di attività che consentono anche un parziale ritorno alla vita sociale. Netta la posizione di chi non opera all’interno del governo, come Andrea Crisanti, professore ordinario di Microbiologia a Padova e Massimo Galli, direttore delle Malattie infettive al “Sacco” di Milano e docente alla Statale, ma anche gli esperti del Comitato tecnico-scientifico – tra cui Fabio Ciciliano e il direttore della Prevenzione del ministero della Salute, Giovanni Rezza – avvertono che l’epidemia, con l’allentamento delle restrizioni, può ripartire. Un punto che peraltro è stato calcato anche dal ministro britannico Boris Johnson lo scorso 12 aprile, giorno delle riaperture di pub e attività non essenziali in Inghilterra. Da ricordare però che nel Regno Unito a oggi oltre il 13% della popolazione risulta completamente vaccinata, per un totale di più di 41 milioni di dosi somministrate. In Italia invece questi numeri sono rispettivamente del 7,2% con 14 milioni di inoculazioni.
Crisanti: “Rischio calcolato? Di calcolo vedo ben poco” – “Purtroppo l’Italia è ostaggio di interessi politici di breve termine, che pur di allentare le misure finiranno per rimandare la ripresa economica”, spiega Crisanti in un’intervista alla Stampa. “Da settimane viaggiamo tra i 15 e i 20 mila casi al giorno: un plateau altissimo, che non consente di progettare riaperture”. La decisione di un parziale ritorno alla normalità, spiega, “è stata presa e il governo se ne assumerà la responsabilità. L’unica sarebbe potenziare la vaccinazione, ma tra forniture, disorganizzazione e diffidenza verso AstraZeneca pare difficile superare quota 350mila”.
Crisanti poi torna sull’affermazione di Draghi che ha parlato di “rischio calcolato”. “Ma come? – dice -. Di calcolato vedo ben poco e il vero rischio è giocarci l’estate. Allora diciamolo chiaramente: la scommessa è riaprire ora per vedere se a giugno dobbiamo richiudere tutto”, rimarca il microbiologo, che non ha dubbi: “riaprire ad aprile è una stupidaggine epocale”. Lontana poi l’ipotesi dell’immunità di gregge che, dice, “penso che sfioreremo soltanto. Bisognerebbe vaccinare 40 milioni di italiani entro l’autunno, senza contare i giovani e i dissenzienti, e poi ci sono le varianti, il problema della durata dell’immunità, i richiami”. Un punto, quello delle vaccinazioni, sul quale insiste anche Massimo Galli, che parlando al Fatto si è detto fermamente contrario alle riaperture ad aprile, senza nascondere il suo giudizio, impietoso, sul governo in tema di pandemia: “Draghi non ne ha azzeccata una”. Quanto invece alle isole Covid-free, sulle quali si sono scontrate regioni e il ministro del turismo leghista Garavaglia, per Crisanti “hanno molto senso turistico e qualche senso sanitario. Per non fare entrare davvero il virus però bisogna fare i tamponi prima e dopo e quarantene di 5 giorni”.
Rezza: “C’è rischio che l’epidemia possa ripartire” – Usa invece toni più pacati Gianni Rezza, capo della Prevenzione ministero Salute e membro del Cts, che su Repubblica ricorda che c’è comunque “un sistema di allerta precoce, per intervenire subito”. E poi annuncia che potrebbero presto arrivare i test salivari, ritenuti ormai “affidabili”. Ma allo stesso tempo mette in chiaro che il rischio che l’epidemia possa ripartire c’è. “Nel momento in cui allenti è normale che l’epidemia possa ripartire, a meno che non intervengano fattori esterni, come l’allargamento della vaccinazione. Abbiamo ancora oltre 300 morti e 15mila casi al giorno, stiamo facendo delle riaperture in un momento in cui la curva sta flettendo leggermente. Il rischio c’è. Quello accettabile per un epidemiologo è zero, per un economista può essere invece 100 e per chi campa con un’attività che ha dovuto chiudere è ancora più elevato. È legittimo che la politica trovi una sintesi, dopodiché nessuno oggi può escludere che facendo ripartire scuole e altre attività la curva risalga”.
I contesti più pericolosi, ricorda Rezza, “sono quelli al chiuso, dove si sta senza mascherina. Per quello è prevista solo la ristorazione all’aperto, con il distanziamento. All’interno dei locali senza aerazione naturale e senza un idoneo distanziamento il rischio si corre. Certo, nei musei anche al chiuso la situazione si gestisce benissimo. Alcune attività all’aperto, come il calcetto e gli sport da contatto, un rischio lo comportano, anche se ci sono ricerche che comunque non le considerano così pericolose”.
Al Corriere della Sera invece parla Fabio Ciciliano, dirigente medico della Polizia e membro del Cts, che ammette: “Aprire tutto e subito sarebbe una vera sciagura, in questo momento. Significherebbe vanificare gli sforzi dolorosi che il Paese ha compiuto fino ad ora”. Allo stesso tempo sottolinea che “bisogna lavorare perché le riaperture siano incanalate in binari di sicurezza per evitare una nuova crescita dei contagi. Ciò che mi lascia perplesso è che talvolta le diverse anime politiche che promuovono le riaperture lo fanno in maniera incompleta, badando magari ad un singolo settore senza avere una visione complessiva. Ma forse alla politica ciò non è richiesto”. Ciciliano poi sottolinea che il Paese “è sfinito da un anno difficilissimo dove una importante fetta della popolazione non riesce quasi più a sopravvivere. L’azzeramento di alcuni interi settori di attività economiche ha impedito in molti casi addirittura il minimo sostentamento. Condivido pienamente – conclude – la posizione del presidente del Consiglio, Mario Draghi con una visione di riapertura progressiva come risultato di un ‘rischio calcolato’ per il Paese”.