Politica

Ddl Zan, qualcosa non va: per me è in gioco la libertà di opinione

Qualcosa si è inceppato nel percorso della legge Zan progettata per combattere l’omotransfobia. Qualcosa non funziona nella sua formulazione. E’ stata una personalità sensibile ai temi della dignità della persona come Luigi Manconi a segnalare che la questione non si può ridurre allo scontro tra fautori della libertà e del rispetto da un lato e omofobi e intolleranti dall’altro. E’ in gioco la “più ampia libertà di opinione” (Manconi) come lamenta una parte significativa del mondo cattolico, ma non solo.

Una militante del tutto laica come Paola Concia punta il dito sulla fraseologia “divisiva” delle definizioni incluse nella legge. Anche la regista Cristina Comencini, valdese, da dieci anni attiva sul fronte della lotta contro l’omofobia, è firmataria di un appello per una revisione della legge per la parte in cui affastella confusamente concetti di “sesso” e di “genere”.

L’articolo 1 della legge Zan prevede la repressione degli atti discriminatori fondati “sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”. Saranno puniti coloro che commettono o istigano a commettere atti di discriminazione o violenza o atti di provocazione alla violenza per i motivi indicati dall’articolo. Punito anche chiunque partecipi o presti assistenza ad organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per tali motivi.

E’ sempre bene leggere per intero i testi legislativi nelle loro sfumature. Infatti è sorta la domanda: se esistono gruppi o sette religiose, che agitano il testo dell’Antico Testamento dove si prevede la morte e l’ira divina per i sodomiti, ricadono sotto le pene inflitte dalla legge Zan? Non è una domanda oziosa. Recita il versetto 20 del Levitico: “Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio, dovranno essere messi a morte”.

E’ chiaro che il predicatore, il quale dal pulpito evocasse il versetto – parola per lui divina – sarebbe portatore di un linguaggio violento, che può istigare menti malate a commettere violenza. Come è avvenuto per secoli. Come avviene anche oggi quando si uccide “l’altro” o quando una subcultura conscia o inconscia spinge un violento a scatenarsi a calci contro una coppia gay che si sta baciando.

E tuttavia, oltre al responsabile di un’azione determinata, va anche punito chi ha letto in pubblico l’Antico Testamento e va punita la congregazione che si riconosce in quel versetto? Qui interviene il principio laico della separazione tra Stato e Chiesa e – con forza se possibile ancora maggiore – il principio costituzionale della libertà di pensiero e di parola. Principi della nostra costituzione, principi di ogni democrazia moderna. Li abbiamo sentiti risuonare in tanti film ambientati in America: “Mi appello al primo emendamento… libertà di parola”!

La legge Zan all’articolo 3 cerca di precisare che “sono consentite la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte”. E’ stato notato che quel “consentito” è un modo infelice di richiamarsi al principio costituzionale della libertà di parola e di pensiero. Molto meglio il chiarimento espresso dalla Commissione affari costituzionali della Camera. “Non costituiscono istigazione alla discriminazione la libera espressione delle idee o la manifestazione di convincimenti o di opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, nonché le condotte legittime riconducibili alla libertà delle scelte, purché non istighino all’odio o alla violenza, ossia non presentino un nesso con atti gravi, concreti ed attuali”. Parole semplici e precise.

Ecco un primo emendamento da introdurre nella legge Zan al Senato.

Ma c’è un’altra questione, più generale. Cos’è questo elenco legnoso contenuto nella legge a proposito di “sesso, genere, identità di genere”? C’è un inutile puntiglio nel voler imporre la gender theory in un testo legislativo. E’ una teoria secondo la quale le differenze biologiche sono una costruzione sociale ed esiste, al di là di una logica sessuale binaria, una varietà di identità di genere. Ma si può anche dire che una teoria di genere non esista, semmai si registra una pluralità di approcci alla questione. In ultima analisi sono, appunto, teorie, percorsi di analisi, frutto di libertà del pensiero. Non si capisce perché trasformarli in ideologia di Stato.

Non a questo pensavano milioni di cittadini etero ed omosessuali, femmine e maschi, quando negli anni Sessanta e Settanta hanno dato il via ad una grande lotta per la liberazione sessuale. Contro l’ideologia della famiglia come gabbia eterna (ed è arrivata la legge sul divorzio), contro l’ideologia della verginità e della sottomissione (ed è stato il riconoscimento della piena libertà dei rapporti sessuali tra donne e uomini a prescindere dal matrimonio), contro l’ideologia della donna come vaso in cui si impianta il semino (e si è conquistata la legge sull’interruzione di gravidanza), contro l’ideologia millenaria della “mascolinità” e della demonizzazione dei rapporti tra individui dello stesso sesso (e si è ottenuta la legge sulle unioni civili).

E’ stata una grande ondata di liberazione, susseguitasi per decenni. Con un principale obiettivo: sancire che l’individuo è libero nei suoi orientamenti sessuali, libero di praticare la sessualità come vuole e con chi vuole – tra adulti consenzienti – libero anche di mutare la direzione dei suoi desideri.

Poi è venuta la stagione delle etichette: Lgbt. E ancora: Qia. “Lesbica, gay, trans, bisessuale, queer (variabile), intersessuale, asessuale”. Un orrendo codice a barre. L’ossessione di mettere il cartellino ad ogni espressione dell’esistenza. Un elenco apodittico di “minoranze” al posto della proclamazione di una raggiunta uguaglianza plurale. Un ridicolo piantare bandierine… Cisgender… Transgender… Just-a-minute-gender…”.

Chi ha inventato l’espressione “gay” aveva in mente gioia, gaiezza, allegria, vivacità. L’iridescenza di un arcobaleno, non l’allineamento di divise dalle strisce diverse. Ecco perché tanti avvertono disagio per una nuova ideologia appiccicata al codice penale. La stragrande maggioranza dei cittadini vuole una libera sessualità e che sia punita – con durezza e senza scusanti – ogni forma di violenza nei confronti di omosessuali e trans. Non vuole invece una “verità di Stato” affermata per legge. Perciò si sancisca che va punita ogni istigazione e aggressione contro l’ “orientamento sessuale” delle persone, quale che sia. Punto.