Un campionato dove i ricchi giocano soltanto contro i ricchi, per diventare ancora più ricchi. Alla fine la storia è tutta qui: un gruppo di grandi club e cinici proprietari che da anni viaggiano oltre le proprie possibilità, rischiano di fallire per colpa del Coronavirus e perciò hanno deciso in nome del “dio denaro” di uccidere la passione dei tifosi. Solo che adesso non si tratta più soltanto di un progetto fantomatico: la Superlega non è mai stata così vicina. Un campionato dove non si gioca per merito ma per diritto (di fatturato), dove non ci sono tifosi ma consumatori. La negazione del calcio.

Alla vigilia dell’esecutivo Uefa che avrebbe dovuto varare ufficialmente la nuova “Super Champions” (36 squadre, fase iniziale a girone unico con sistema svizzero e più partite internazionali per tutti) è arrivato l’annuncio: 12 top club europei fondano la Superlega. L’intenzione è che diventino 15 (per ora mancano sicuramente all’appello Psg e Bayern Monaco), per un campionato europeo a 20 squadre a sistema “semi-chiuso” (altre 5 verrebbero selezionate ogni anno dai vari tornei nazionali), con una prima fase a girone e i playoff per il titolo. Insomma, praticamente l’Nba del pallone. Solo che il calcio non è l’Nba.

L’idea alla base del progetto è la visione americana della partita come evento, in cui lo sport è solo il mezzo e non il fine. Un big match ogni sera, campioni pagati decine di milioni a stagione, biglietti costosissimi allo stadio e miliardi di persone sintonizzate davanti alla tv in ogni parte del pianeta. Quanto di più lontano dalla concezione europea di calcio e sport in generale. E infatti non saremmo più nemmeno noi il pubblico di riferimento della Superlega. Il modello è quello di un grande show che non viene visto più soltanto dai tifosi delle squadre (quelli ormai sono finiti), ma da centinaia di milioni di persone in Asia o negli Stati Uniti, mercati molto più grandi e ricchi delle province italiane, inglesi o spagnole. Il valore sportivo di un Real Madrid-Liverpool o di un Manchester-Barcellona che si gioca sei volte l’anno sarebbe praticamente nullo per almeno cinque di queste, ma in compenso diventerebbe una fonte quasi inesauribile di business.

Per questo i padroni del pallone sono pronti a sacrificare lo spirito del gioco, la favola del Leicester o dell’Atalanta, il principio che Davide può battere Golia almeno una volta, che poi è ciò che ha reso il calcio lo sport più bello del mondo. E la passione dei tifosi. Perché la forza del pallone è sempre stata il suo campanilismo, il forte radicamento nel tessuto sociale e sul territorio, che ovviamente sarebbe spazzato via da un campionato internazionale dove giocano solo i club d’elite, mentre i tornei nazionali in teoria continuerebbero ad esistere ma verrebbero inevitabilmente fagocitati dalla mancanza di risorse e visibilità.

È ancora presto per dire se il progetto andrà davvero a buon fine, o piuttosto non si tratti solo dell’ennesima minaccia per alzare la posta sulla nuova Champions League (che rimarrebbe organizzata dalla Uefa, mentre i top club volevano più soldi e potere nelle loro mani). Di sicuro tutto ciò avviene esclusivamente per ragioni economiche, perché il calcio europeo aveva già raggiunto il punto di massima espansione ed è stato affossato dal Covid. Il Coronavirus doveva essere l’occasione per ripensare un sistema che non sta più in piedi: diminuire il numero di squadre, snellire il calendario, accorciare le rose, porre un freno ai trucchi contabili e magari agli stipendi dei calciatori. Solo che nell’idea malsana che il fatturato sia una linea retta che aumenta all’infinito, invece di sgonfiare la bolla hanno deciso di crearne un’altra ancora più grande. La Superlega.

Dal punto di vista economico, potrebbe anche funzionare. Sicuramente sarebbe più redditizia dei campionati nazionali e persino della Champions. Però rischia di fare la fine dell’Eurolega di basket, o della Coppa Davis di tennis, tanto per citare gli esempi di altre due discipline dove si sono viste dinamiche simili. Le nuove competizioni che hanno preso il posto di quelle vecchie con una storia secolare sono davvero un successo, macinano ascolti e ricavi. Ma non interessano davvero più a nessuno. È il futuro che sogna la Superlega. Dove non ci saranno più tifosi. Solo consumatori.

Twitter: @lVendemiale

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