“Né rischio calcolato, né calcolato male”. Per il matematico del Cnr Giovanni Sebastiani, la decisione del governo sulle riaperture non presenta rischi ma certezze: “Quelle di contagi che torneranno a salire e che nel giro di tre-cinque settimane ci costringeranno a nuove chiusure”. Perché la discesa dei contagi sta già rallentando e sette province italiane su dieci “si avviano all’appiattimento della curva o sono già in quella condizione”. Un copione in parte già visto nei mesi scorsi, con al centro il ruolo giocato dai più giovani, che dal prossimo 26 aprile inizieranno a rientrare in classe anche alle superiori. Quanto all’attuale strategia vaccinale, Sebastiani segnala che “sta riducendo i decessi, ma non sarà in grado di incidere su una risalita dei contagi che avremmo potuto evitare”.

Impegnato da oltre un anno nella elaborazione dei dati sulla pandemia, il matematico dell’Istituto per le Applicazioni del Calcolo del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) lascia parlare i numeri. E avverte: “Nella corsa all’abbattimento dei contagi l’Italia è in frenata da ormai cinque giorni e questo prelude inevitabilmente all’appiattimento della curva”. Una situazione che Sebastiani giudica incompatibile con le riaperture annunciate dal premier Mario Draghi e in particolare con il rientro in classe di altri milioni di studenti: “Già a non far nulla possiamo dare per certa la risalita della curva, figurarsi con otto milioni di ragazzi in totale che si spostano per cinque giorni a settimana e il cui ruolo di diffusori è ormai assodato”.

Partiamo dalla fotografia dell’Italia. “Un quarto delle provincie italiane, distribuite in più della metà delle regioni italiane, negli ultimi sette giorni presenta un’incidenza dei positivi superiore a 200 casi per 100mila abitanti”, riporta il matematico, che ricorda come la soglia che fa scattare la zona rossa sia fissata a 250 casi. Ma non basta, perché questi dati vanno letti considerando la tendenza in atto. Sono appena 15, infatti, le province con trend di pura discesa. Mentre in 77 province la situazione è di stasi o in procinto di esserlo e in 16 province il trend è addirittura di crescita. Una condizione che secondo Sebastiani non potrà che peggiorare con la riapertura delle scuole, che per le zone gialle e arancioni sarà al 100 percento in presenza già dalla settimana prossima. “Come per ottobre e per febbraio, la scuola è la prima responsabile dell’aumento dei contagi”, dichiara lo studioso del Cnr.

“Dopo la pausa natalizia, le scuole hanno riaperto in modo scaglionato a seconda delle regioni. Chi ha aperto già l’11 gennaio si è ritrovato con una crescita più elevata di ricoveri in terapia intensiva rispetto a chi ha aperto a inizio febbraio”. I dati sono quelli rilevati nell’ultima settimana di febbraio: “Chi ha aperto a inizio gennaio ha raggiunto un tasso di crescita settimanale delle terapie intensive del 16 percento, mentre si scende fino all’uno percento per chi ha aperto per ultimo”, spiega Sebastiani, che aggiunge: “L’incidenza dei positivi per età nelle fasce più giovani ha ripreso a crescere già a gennaio, mentre le fasce adulte della popolazione a gennaio scendevano: un’ulteriore conferma del ruolo degli studenti in un periodo in cui la riapertura delle scuole fino alla prima media è stato l’unico evento degno di nota”. Insomma, per Sebastiani è solo questione di tempo perché la totale riapertura delle scuole presenti il conto.

Quanto ai vaccini, se hanno ridotto la mortalità – del 40% a metà marzo – non hanno ancora fatto in tempo ad incidere sulla diffusione del contagio. L’attuale strategia prevede infatti che sia data priorità ai più anziani e ai più fragili. “Ma per mettere in salvo e vaccinare in modo completo (due dosi) almeno chi ha più di 70 anni, dove l’incidenza dei decessi è la più alta con l’86% delle morti, mancano ancora 12,8 milioni di dosi da somministrare”, fa notare Sebastiani, che osserva come a questi ritmi il risultato non sarà raggiunto prima della fine di maggio. “Per allora le riaperture avranno già ridato forza alla diffusione del contagio, arrivando a costare la vita a 8-10 mila italiani”, è la sua previsione. E riflette: “Aspettare un altro mese avrebbe significato mettere al riparo almeno la parte di popolazione più a rischio di morte. Con questi numeri le cose andranno diversamente, è certo. E nessuno si permetta di dire che la scienza giustifica queste riaperture”

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