di Gabriele Gelmini

Dappertutto si parla del ‘miracolo Madrid’. I grandi quotidiani nostrani elogiano la capitale spagnola, dove si registrerebbero relativamente pochi decessi a fronte della decisione, presa da ottobre dalla presidentessa regionale Isabel Ayuso (Pp), di consentire la riapertura quasi totale degli esercizi commerciali: bar, negozi, ristoranti – ma anche teatri e cinema, con afflusso ridotto. Insomma, una strategia in controtendenza rispetto al senso comune. La ragione, spacciata per lungimiranza economica, è a mio avviso eminentemente politica: il liberi tutti aiuta a capitalizzare consensi e dovrebbe consentire una facile rielezione alle urne il 4 maggio (anche il voto si svolgerà in piena pandemia, ma tant’è).

In proporzione i decessi, in una Madrid che tiene tutto aperto, sono inferiori a quelli di Milano, che oltre a contare meno abitanti (15mila morti su 6 milioni e mezzo l’intera regione madrilena, 6mila morti su un milione e mezzo la città meneghina) è interessata come il resto della Lombardia e dell’Italia dalle chiusure a intermittenza. Ma questo sottolinea la fallimentare gestione lombarda della pandemia, non certo la bontà della strategia madrilena: tanto che report indipendenti confermano come Madrid abbia portato avanti una gestione fallimentare sul piano della limitazione dei contagi.

Tutto questo mi induce a una riflessione sul concetto di libertà: a parer mio, soprattutto di fronte a una pandemia mondiale (quale pericolo maggiore si dovrebbe correre per spaventare le persone e farle ravvedere davvero?), non ci sono giustificazioni per chi la intende esclusivamente come libertà di mercato. Nonostante i contagi solo apparentemente bassi, a Madrid la gente è invogliata a uscire dato che tutto resta aperto. Ciò non gioca a favore dei più fragili e di chi, davanti a una simile situazione, non può fare altro che barricarsi in casa in attesa della vaccinazione.

Al tempo stesso, Ayuso e José Luis Almeida, primo cittadino sempre in quota Pp, pare non abbiano fatto una piega davanti alle concentrazioni neonaziste delle ultime settimane: sono numerosi i video dove si vedono i manifestanti assembrati e senza mascherina. Peccato che al contrario si dispieghino le forze di polizia quando si riuniscono persone che tentino di contrastare questa ondata di odio (non ultimo il caso di Vallecas, storico quartiere operaio).

Per non parlare, a livello nazionale, della posizione del loro partito – il famoso Partido Popular ora alla sbarra per quella che si può considerare come la Tangentopoli spagnola – davanti a palesi restrizioni della libertà di espressione, come il recente caso del rapper Pablo Hasel e in generale il bavaglio imposto proprio dal Pp con la Ley Mordaza del 2015, che punisce tra gli altri chi esprime pareri contro la monarchia e la Corona. Peccato che l’ex monarca, Juan Carlos, abbia pagato sua sponte più di quattro milioni di euro al fisco spagnolo, proprio per evitare un procedimento penale per evasione fiscale; e le sue figlie, volate a trovarlo negli Emirati arabi dove si trova in esilio volontario, si sono per questo vaccinate prima del tempo.

Insomma, tanti in Spagna e nella stessa Madrid si lamentano delle restrizioni ancora in atto: il coprifuoco tuttora attivo, ad esempio. Ma ci sono molti altri che non si possono lamentare più: se non si fosse deciso per una strategia sull’orlo dei contagi, ora molte vite sarebbero salve. Una tattica politica che cerca di mediare tra economia e vite umane, tra libertà di mercato e libertà personali, per me è segno che il limite della decenza è già stato superato e questo è inaccettabile.

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