I 12 club più ricchi d’Europa hanno deciso di creare la nuova competizione per 3,5 miliardi di motivi: i soldi che riceverebbero subito, garantiti da JP Morgan e fondamentali per affrontare la crisi del Covid. Le big vogliono gestire da sole introiti e potere, per far sì che d'ora in poi una sconfitta sportiva non sia più anche una perdita economica
Evitare il fallimento, che con la crisi del Covid sta diventando una prospettiva concreta. Creare una nuova competizione, dove la sconfitta sportiva non sarà mai più una perdita economica. Le ragioni per cui i 12 club più ricchi d’Europa hanno deciso di creare la Superlega sono queste. Queste, insieme ad altri 3,5 miliardi di motivi: i soldi che i soci-fondatori riceverebbero subito, solo per il fatto di partecipare al torneo, garantiti da JP Morgan, una delle banche d’affari più facoltose al mondo, finanziatore di una manifestazione che promette di avere almeno 4 miliardi di fatturato e 5 miliardi di tifosi in giro per il pianeta (ma sarebbe meglio chiamarli consumatori).
TORTA DA 4 MILIARDI DI EURO (PER POCHI ELETTI) – La Superlega si propone di sostituire la Champions League, per realizzare un business più globale e più ricco. Non che la coppa ideata dalla Uefa fruttasse poco: valeva già oltre 3 miliardi di euro a stagione, con la nuova formula si parla di arrivare a quasi 4 miliardi. Da dividere però tra tutte le squadre, con criteri diversi ovvio, ma sono pur sempre 36. E in mano alla Uefa. Con il nuovo torneo, le big d’Europa avrebbero soldi e poteri direttamente nelle loro mani. Nei primi documenti riservati, si parla di entrate di circa 4 miliardi di euro solo dai diritti tv: tolti 900 milioni di costi vari (compreso una quota di “solidarietà” alle altre competizioni, una specie di elemosina per i poveri d’Europa tagliati fuori dall’evento), ci sarebbero oltre 3 miliardi da distribuire fra pochi eletti (visto che i 5 invitati prenderebbero poco o nulla e anche fra i 15 fondatori ci saranno gerarchie diverse). Insomma, ad ogni club sarebbe garantito un minimo fra i 150 e i 300 milioni di euro, quando attualmente in Champions se ne possono incassare al massimo un centinaio in caso di vittoria finale (ma molti meno con un’uscita prematura ai gironi o agli ottavi). La torta sarà più grande e ci saranno meno teste da sfamare.
IL SISTEMA CHIUSO CHE ELIMINA IL RISCHIO SPORTIVO – La vera chiave di volta del nuovo progetto, però, è soprattutto il passaggio dal sistema aperto (basato sul merito sportivo) a quello chiuso (fondato sul diritto di partecipazione). Se guardiamo la formula, infatti, la Superlega non è poi troppo diversa dalla nuova Champions proposta dalla Uefa. In totale ci sarebbero 193 match a stagione (meno della Champions, che vuole salire a 225), da disputare per giunta nei turni infrasettimanali, abbandonata almeno per il momento l’idea dei weekend. La differenza sta tutta nel meccanismo di partecipazione bloccato. E in ciò che comporta. I 15 soci fondatori non correranno mai il rischio di rimanere fuori per colpa di una stagione disgraziata. Il flusso di denaro sarà garantito sempre e darà stabilità ai bilanci. E poi ci sarà il bonus iniziale, quello di JP Morgan: 3,52 miliardi di euro, da dividere per 15. Ma non proprio in parti uguali, anche in Superlega ci saranno club di Serie A e di Serie B. Le italiane come verranno considerate? Un assegno una tantum fra i 350 e i 100 milioni di euro, per “investire nelle infrastrutture” e soprattutto “fronteggiare la crisi del Covid”. La parola d’ordine è sostenibilità finanziaria: grazie a questo finanziamento e alle entrate garantite ogni anno, i bilanci dei top club europei non saranno mai più in pericolo.
LE RAGIONI: I DEBITI DEGLI SPAGNOLI, I SOGNI DELLE PROPRIETA’ STRANIERE – Il progetto, infatti, nasce dalla volontà di raggiungere un nuovo mercato e aumentare i ricavi. Ma anche dalla paura. Così si spiega la nascita della Superlega e le squadre che al momento ne fanno parte. Mancano ancora all’appello la Germania del Bayern Monaco (che ha un sistema sano e si è già detto contrario) e la Francia del Psg (gli sceicchi sono molto vicini all’Uefa). Ci sono solo Spagna, Italia e Inghilterra, non è un caso. I club spagnoli sono sommersi dai debiti: Barcellona e Real Madrid sono due incredibili macchine da soldi, ma hanno delle esposizioni bancarie mostruose (nel caso dei catalani superiore al miliardo). In Italia la Juventus di Agnelli lavora da anni al progetto, che però fa comodo anche alle milanesi: il Milan si ritrova in mano a un fondo americano e non riesce a qualificarsi alla Champions da quasi un decennio. Quanto all’Inter, la Superlega è la soluzione più rapida per dare sollievo alla proprietà cinese, che ha chiuso tutti i rubinetti ma non sembra propensa a vendere. Restano i club inglesi, che paradossalmente dovrebbero essere i meno interessati al progetto, considerando che la Premier è l’unica lega che viaggia su livelli economici paragonabili a quelli prospettati. Ma anche il campionato inglese recentemente ha mostrato una preoccupante flessione (dai diritti tv in giù). E pure qui ci sono ormai proprietà straniere (Liverpool, Manchester United, Arsenal sono americani) che sognano un modello diverso. È l’assalto finale all’idea del calcio europeo. Di quel poco che ne restava.