Il Gup contesta la decisione con cui un anno fa il procedimento era stato portato via da Firenze che ritiene sia invece il foro deputato a giudicare il caso dei 44 tributaristi accusati di aver manipolato una serie di concorsi per l'abilitazione alla docenza universitaria
Ennesima battuta d’arresto per il procedimento sui 44 tributaristi accusati di aver pilotato una serie di concorsi di abilitazione alla docenza universitaria. Dopo che, nel gennaio del 2020, il giudice per l’udienza preliminare di Firenze aveva trasmesso gli atti a Pisa, dichiarandosi incompetente territorialmente, lunedì 19 aprile il gup di Pisa Pietro Murano ha contestato la decisione del collega dichiarandosi a sua volta territorialmente incompetente e indicando come tribunale deputato quello fiorentino. Il giudice ha quindi trasmesso gli atti alla Corte di Cassazione per l’ultima parola sul caso.
Il procedimento era stato trasferito a Pisa nel gennaio del 2020 su disposizione del gup del tribunale del capoluogo toscano, secondo il quale la città della torre era il luogo dove si era verificato l’ultimo degli episodi di corruzione contestati nelle indagini. Secondo il giudice, l’ultimo fatto di corruzione era relativo all’attribuzione di un posto di ricercatore a Pisa per Francesco Padovani, che per l’accusa sarebbe stato così ricompensato per non essersi presentato a un concorso bandito dall’Università di Firenze il 10 maggio del 2016.
Il gup di Pisa invece, ritiene che la competenza del tribunale di Firenze derivi dal fatto che proprio nel capoluogo toscano, in occasione del concorso del maggio del 2016, era stato stipulato tra gli indagati l’accordo corruttivo che poi ha avuto tra le sue conseguenze la vittoria di Padovani a Pisa. Tuttavia “il Gup di Firenze, nel tentativo di assecondare la prospettiva accusatoria e con l’intento di migliorare il collegamento finalistico dei fatti, ritenuto imperfetto nella formulazione dell’imputazione – ma senza una formale modifica di questa – ha ritenuto di fornirne una sua personale costruzione giuridica con una rielaborazione sostanziale che ha, però, inciso pesantemente sugli stessi termini dell’accusa con risvolti, sul piano processuale, che incidono non solo ai fini della determinazione della competenza del territorio”, come si legge nelle carte dove il Gup spiega di ritenere che la precedente decisione del collega fiorentino sia stata di fatto “una sostanziale pronuncia di merito” con la quale si rendeva impossibile decidere su un capo accusatorio “in quanto già ritenuto assorbito in altra fattispecie di reato”.
L’inchiesta risale al 2017, quando il caso era stato sollevato da una denuncia dell’allora ricercatore tributarista fiorentino Philip Laroma Jezzi (oggi professore associato di Diritto tributario a Firenze), che riferì di essere stato “invitato” a ritirarsi da un concorso in attesa che venisse il giro buono anche per lui. Laroma denunciò alla Guardia di Finanza la sua esclusione nel 2013 da quello che riteneva un patto tra due studi tributari di Firenze, a suo dire accordatisi per favorire invece il superamento del concorso di due propri associati.
Da questo spaccato gli inquirenti ricostruirono una rete nazionale di relazioni tra società scientifiche dove, secondo l’accusa, venivano illecitamente concordati i vincitori dei concorsi, con scambi di favori e abilitazioni alla docenza. Un gioco in cui gli esponenti delle associazioni rivali Società studiosi diritto tributario e Associazione italiana professori diritto tributario, secondo le accuse si contendevano le abilitazioni e i posti disponibili per i propri iscritti “a prescindere da ogni valutazione di merito”.
All’epoca il gip di Firenze Angelo Antonio Pezzuti, aveva parlato di “sistematici accordi corruttivi tra numerosi professori di diritto tributario, finalizzati a rilasciare le abilitazioni all’insegnamento secondo logiche di spartizione territoriale e di reciproci scambi di favori, con valutazioni non basate su criteri meritocratici bensì orientate a soddisfare interessi personali, professionali o associativi”. Senza contare gli studiosi di cui è venuta a galla, nei fatti, la mancata rinuncia alla libera professione e ai suoi profitti, in seguito all’avvio della carriera universitaria che dovrebbe essere incompatibile con l’esercizio privato della professione.
Al termine delle indagini erano finiti ai domiciliari sette stimati tributaristi, altri ventidue vennero interdetti per un anno su un totale di 59 indagati. Per 45 di loro fu avanzata la richiesta di rinvio a giudizio a Firenze, da dove il procedimento a inizio 2020 è stato appunto trasferito a Pisa. Nell’elenco degli imputati ci sono alcuni tra i migliori del settore. Anche gli allora principi del foro in materia di diritto tributario, oggi defunti. Uno di loro, in una conversazione intercettata dagli inquirenti, nel corso di una cena in un ristorante romano nel 2014, si era detto convinto della necessità di creare “un gruppo di persone più o meno stabili a cui far gestire i futuri concorsi”. Nome in codice: “la nuova cupola”.
Tra i professionisti finiti in un primo momento agli arresti domiciliari comparivano i nomi di Guglielmo Fransoni, tributarista dello studio Russo e professore a Foggia; Fabrizio Amatucci, professore a Napoli; Giuseppe Zizzo dell’Università di Castellanza; Alessandro Giovannini dell’Università di Siena; Giuseppe Maria Cipolla dell’Università di Cassino, Adriano Di Pietro dell’Università di Bologna, Valerio Ficari, ordinario a Sassari e supplente a Tor Vergata, Roberto Cordeiro Guerra, ordinario a Firenze e Francesco Tundo, professore ordinario all’Alma Mater di Bologna. Per 5 di loro il Riesame annullò i domiciliari e dispose l’interdizione dall’insegnamento per 10 mesi. Per Giovannini la revoca fu totale e non fu sottoposto ad altre misure. I professionisti risultano comunque ancora imputati insieme al noto tributarista Gianni Marongiu, cattedratico genovese ex deputato e sottosegretario alle Finanze del Governo Prodi.