Il successo nel tempo della figura di Dante Alighieri lo si può misurare in tante maniere. Per esempio con la permanenza nel nostro vocabolario comune di parole ed espressioni tratte dai suoi scritti, oppure col numero di iniziative collegate al VII centenario dalla sua morte, che avvenne a Ravenna nel 1321. Per l’occasione, la città che ospita le sue spoglie ha messo a punto un programma di tre mostre – sotto l’unica etichetta di Dante. Gli occhi e la mente – la prima delle quali è stata inaugurata la scorsa estate alla Biblioteca Classense col titolo Inclusa est flamma. Ravenna 1921: il Secentenario della morte di Dante e che fa rivivere il VI centenario dantesco del 1921, apertosi l’anno prima alla presenza dell’allora Ministro della Pubblica Istruzione, Benedetto Croce.
Ultimo atto di questo trittico d’eccezione sarà Un’epopea pop, a cura di Giuseppe Antonelli, che il 4 settembre prossimo si aprirà al MAR – Museo d’Arte di Ravenna focalizzandosi sulla fortuna popolare della figura di Dante Alighieri attraverso i secoli e i generi espressivi. La seconda mostra prevista – senza dubbio la più attesa dell’intera serie perché ha già la reputazione di uno degli eventi danteschi più importanti di questa primavera – si intitola Le Arti al tempo dell’esilio, è a cura del direttore del Museo civico medievale di Bologna, Massimo Medica, e si aprirà (emergenza sanitaria permettendo) l’8 maggio nell’antica chiesa camaldolese di San Romualdo di Ravenna. Come si comprende dal titolo, l’impresa nasce con l’ambizione di mostrarci “lo stato dell’arte” al tempo dell’esilio di Dante. Infatti la scelta di Medica è stata quella di riunire in un unico percorso solo testimonianze d’eccellenza e aderenti al tema, emblematiche delle tappe dell’esilio dantesco. In pratica il visitatore vedrà coi propri occhi capolavori che sette secoli prima potrebbe aver ammirato il Sommo Poeta nel suo lungo peregrinare per l’Italia, opere che indubbiamente influenzarono la sua Commedia, che era e resta anche un “poema per immagini”.ù
E per rendere possibile tutto ciò, a fianco del Comune di Ravenna è scesa in campo anche la Galleria degli Uffizi di Firenze, suggellando così il gemellaggio tra la città in cui Dante nacque e visse e quella in cui morì e riposa. Questo percorso di meraviglie avvierà dalla suggestiva scultura in bronzo dorato raffigurante Bonifacio VIII, colui che condannò il Poeta all’esilio e che arriva da Bologna. Accanto all’imponente effigie vi sarà il calco del ritratto dello stesso Bonifacio realizzato da Arnolfo di Cambio, che invece arriva dai Palazzi Vaticani.
Per celebrare l’origine e la formazione di Dante a Firenze, negli spazi di San Romualdo si vedranno opere di Cimabue – la Madonna con Bambino proveniente dalla Pinacoteca di Santa Verdiana a Castelfiorentino e i Santi Crisante e Abbondio, tabernacolo reliquiario dal Museo Civico di Gubbio – e di Giotto – il famoso Polittico di Badia proveniente dagli Uffizi e la Madonna col Bambino (detta Madonna di San Giorgio alla Costa) dal Museo Diocesano di Santo Stefano al Ponte di Firenze – che risalgono al periodo di permanenza fiorentina di Dante e che, molto probabilmente, egli ebbe modo di ammirare.
Gli anni dell’esilio coincisero con profonde mutazioni e novità nell’arte e la mostra le documenta attraverso dipinti, sculture, manoscritti miniati, oreficerie. I mesi romani sono rievocati dalle effigi di San Pietro e il San Paolo di Jacopo Torriti, all’epoca dantesca nel portico di San Pietro. Preziosi tessuti, oreficerie, tavole dipinte e sculture (queste ultime dovute al cosiddetto Maestro di Sant’Anastasia) ci rammenteranno la sosta del poeta alla corte veronese di Cangrande della Scala. Quindi Dante fu a Padova, negli anni in cui Giotto stava ultimando la decorazione della cappella degli Scrovegni, le cui innovazioni furono riprese dai maestri padovani della miniatura e non a caso la mostra propone, per la prima volta, il preziosissimo Offiziolo, ora di proprietà privata, appartenuto al poeta Francesco da Barberino, amico di Dante.
Dopo i passaggi nella Marca Trevigiana e nella Lunigiana dei Malaspina, Dante si trasferì nel Casentino, quindi a Lucca – dove ebbe occasione di ammirare le opere di Nicola Pisano per la cattedrale (in mostra si vedrà il calco della lunetta con la Deposizione dalla Croce, Pisa, Museo di San Matteo) – e ancora a Forlì nel 1310. Quindi nel Duomo di Pisa Dante ebbe occasione di ammirare alcuni capolavori di Nicola e Giovanni Pisano: in mostra saranno visibili, tra gli altri, l’effige della Giustizia, commissionato per la tomba di Margherita di Brabante, moglie dell’Imperatore Arrigo VII.
Le opere dei Pisano affiancheranno in mostra quelle di Arnolfo di Cambio (provenienti dalla Galleria Nazionale dell’Umbria) a conferma della preferenza attribuita dal poeta all’arte plastica, come testimoniano le numerose citazioni contenute nella Commedia. Infine Dante giunge a Ravenna intorno al 1319, mentre in città operavano Giovanni e Giuliano da Rimini, quest’ultimo chiamato a decorare la cappella a cornu epistulae della chiesa di San Domenico, seguito anche da Pietro da Rimini, di cui la città conserva ancora oggi varie testimonianze. Ed è ai capolavori di questi due artisti che la mostra riserva ampio spazio nella sua sezione conclusiva, intervallandoli a testimonianze legate alla cultura figurativa veneziana, a documentare l’ultima impresa diplomatica svolta nella Serenissima dal Poeta.
Un’ultima sorpresa, tuttavia, ce la regalerà un prestito d’eccellenza dal Museo del Louvre di Parigi. Una Madonna in trono con Bambino di fine XIII secolo, opera in marmo di un non meglio identificato Maestro veneziano-ravennate, che torna nel capoluogo romagnolo dopo 160 anni.
Alla sua morte, avvenuta tra il 13 e il 14 settembre 1321, Dante fu sepolto in una piccola cappella addossata al muro del convento di San Francesco a Ravenna, anticamente conosciuta come la Cappella della Madonna per la presenza di un’antica immagine mariana. Secondo Corrado Ricci, studioso della materia, la Madonna in questione era quella scolpita insieme al Bambino che per secoli aveva protetto il sarcofago del Poeta. Però, come spesso accade, anche il sepolcro di Dante fu oggetto di trasformazioni e della statua se ne persero le tracce fino al 1860, quando venne acquistata a Ravenna da un nobile collezionista francese che, nel 1884, la donò al Museo del Louvre.