Ieri Beppe Grillo, in qualità di padre, leader spirituale del partito che ha la maggioranza in Parlamento, pubblico ministero, avvocato difensore, giudice, ha arringato la folla in un video usando tutto il suo potere mediatico per gridare l’innocenza del figlio Ciro e dei suoi amici, denunciati per stupro di gruppo nel 2019.

Prima ancora di sapere se ci sarà un rinvio a giudizio o una archiviazione, è entrato a gamba tesa con una invettiva prepotente nei confronti della Procura di Tempio Pausania e dei media, colpevoli a suo giudizio di aver presentato il figlio come “uno stupratore seriale”. In realtà, una notizia che in altri Paesi avrebbe occupato, per settimane o mesi, le prime pagine dei quotidiani e dei telegiornali è passata in sordina per ben due anni senza avere lo spazio mediatico riservato allo stupro di Firenze, commesso nel 2017 da due carabinieri poi condannati, o al caso Alberto Genovese. E’ difficile non pensare che la prudenza e il basso profilo tenuto dai media sia stato condizionato dal cognome dell’indagato, rampollo del fondatore di un partito che occupa la maggioranza dei seggi in Parlamento.

Dopo il video sono piovute critiche ma anche attestati di solidarietà: Enrico Mentana, direttore del Tg La7, dalla sua pagina Facebook in qualità di padre ha solidarizzato con Grillo, come Alessandro Di Battista e alcuni rappresentanti di rilievo del Movimento 5 Stelle, come Paola Taverna e Vito Crimi – che hanno dimenticato di manifestare solidarietà anche ai genitori della ragazza, figlia di un padre e di una madre privi del potere mediatico di Grillo. Una partigianeria a mio avviso inaccettabile per due deputati che siedono in Parlamento e che ferisce tutte le vittime di stupro e i loro familiari.

Dopo il video di Grillo non è da escludere che la decisione della magistratura di Tempio Pausania sull’archiviazione o sul rinvio a giudizio per Ciro Grillo e gli altri imputati giungerà ad una opinione pubblica già orientata. In caso di rinvio a giudizio ci sarà chi penserà ad un’inchiesta di stampo politico per colpire il leader di un partito, e in caso di archiviazione alcuni si convinceranno che la magistratura si sia fatta influenzare dal video di Grillo. Comunque vada, credo che Beppe Grillo sia riuscito a mettere in difficoltà la magistratura e ad instillare il dubbio in buona parte della popolazione italiana.

Tutta questa vicenda desta amarezza e ci dà la sensazione di vivere in un Paese terribilmente arcaico. Gli uomini e le donne che in questo Paese ricoprono cariche istituzionali o di prestigio o i comuni Fantozzi, come percepiscono la responsabilità del potere, la relazione tra uomini e donne, il femminicidio, lo stupro? Possiamo accettare che chiunque, approfittando di un ruolo, travalichi i limiti di una vicenda personale con il preciso scopo di portarla a sconfinare coinvolgendo un partito intero e chiedendo con rabbia e prepotenza che l’opinione pubblica si schieri a vantaggio del proprio figlio?

Nel Paese più familista del mondo, “tengo famiglia” e “i figli so piezz’e core” sono un lasciapassare, l’amnistia per qualunque scorciatoia, raccomandazione, clientelismo e persino indulgenza quando si vìola la legge cedendo alla corruzione. Ricordate l’autodifesa di Walter Biot, l’ufficiale di Marina in cella con l’accusa di aver venduto segreti militari ai russi? Si è giustificato con un “tengo famiglia” e anche Beppe Grillo tiene famiglia e ha un figlio indagato per stupro. Non ha esitato senza alcuno scrupolo ad additare pubblicamente come bugiarda la donna che ha denunciato il figlio, mettendo in conto che potrebbe essere esposta a gogna mediatica perché questo accade alla maggioranza delle donne che denunciano violenze, soprattutto quando sono commesse da intoccabili.

In quel video ha attinto al vasto repertorio di pregiudizi sullo stupro con illazioni sui tempi della denuncia (otto giorni) e sui comportamenti avuti dalla ragazza nei giorni che hanno preceduto la denuncia. Parole stigmatizzate da Antonella Veltri, presidente D.i.Re donne in rete contro la violenza: “Non si è consenziente perché si denuncia ‘dopo’. E quanto tempo dopo una vittima di stupro perfetta dovrebbe denunciare la violenza?”, chiede provocatoriamente Veltri.

“Nonostante tutto ciò che sappiamo sulle dinamiche della violenza, ogni comportamento di una donna che denuncia uno stupro viene guardato con sospetto. Non si è consenzienti quando si è obbligate ad avere rapporti sessuali contro la propria volontà o quando non si può prestare consenso perché ubriache”, fa notare ancora la presidente di D.i.Re. “A volte tacere in attesa che la giustizia faccia il suo corso può essere un valore – aggiunge Veltri – qui invece vediamo un fulgido esempio della cultura dello stupro, e un noto personaggio pubblico che in poche battute dà voce a quella squallida quanto utilizzata e vergognosa vittimizzazione, che rimette al centro la donna come soggetto consenziente di una cultura patriarcale che purtroppo alberga anche nei nostri tribunali e viene legittimata e diffusa dai media”.

In un Paese dove la maggioranza delle donne non denuncia violenze, condannato dalla Corte di Strasburgo, dalla Cedaw, dal Grevio per il sessismo radicato e la resistenza al cambiamento, le parole di Beppe Grillo sono la cartina di tornasole di una arretratezza sconfortante. Il leader spirituale del Movimento 5 Stelle ne è pienamente consapevole e se fosse stato in un Paese diverso, dubito che avrebbe messo online il suo “sfogo”.

@nadiesdaa

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