La proposta di riforma complessiva degli ammortizzatori sociali per tutelare anche i non garantiti, che era stata annunciata per marzo e ora slitta a luglio. Il rafforzamento dei centri per l’impiego, che deve ancora partire. La valutazione del reddito di cittadinanza, su cui è al lavoro il comitato guidato da Chiara Saraceno, e l’eventuale “tagliando” alle regole attuali che penalizzano famiglie numerose e immigrati residenti in Italia da meno di 10 anni. Il decreto attuativo necessario per concretizzare l’esonero degli autonomi più colpiti dalla crisi Covid dal pagamento dei contributi 2021. E la decisione finale sul blocco dei licenziamenti, che i sindacati chiedono sia prorogato al 30 ottobre per tutti e non solo per commercio, turismo e servizi. A tre mesi dall’insediamento, sul tavolo del ministro del Lavoro Andrea Orlando i dossier si accumulano e i problemi si intrecciano: prima di aver modernizzato il sistema degli ammortizzatori e potenziato le politiche attive, è la posizione dei leader di Cgil, Cisl e Uil, non si può consentire alle aziende di lasciare a casa i lavoratori. Non a caso mercoledì 21 sono in agenda incontri su entrambi gli aspetti. Dal canto loro gli autonomi fanno notare che, senza modifiche, la nuova “indennità straordinaria” prevista in manovra la pagheranno loro a suon di contributi aggiuntivi.

I rinvii sugli ammortizzatori: “Ci sono resistenze” – La partita più importante è quella su cui fin dall’inizio si erano concentrate le promesse del ministro dem: rendere universali gli ammortizzatori sociali che ora coprono i lavoratori in maniera molto diseguale, facendo differenze tra settori e dimensioni di impresa. Problemi che la pandemia ha fatto emergere plasticamente, costringendo il governo precedente a varare la Cig Covid e i bonus per professionisti e partite Iva. A fine febbraio il tavolo tecnico incaricato dalla ministra Nunzia Catalfo di studiare una riforma aveva presentato la propria proposta e Orlando è partito da lì, ma strada facendo sono emersi diversi nodi. A partire dai costi. Allargare la copertura dell’indennità di disoccupazione (Naspi), estendere gli ammortizzatori agli autonomi e fissare una cifra minima non inferiore al reddito di cittadinanza o all’assegno sociale richiede, nelle diverse ipotesi, maggiori risorse fino a 10 miliardi l’anno. I cinque esperti nominati dalla Catalfo avevano ipotizzato una riforma su base assicurativa: vale a dire che a pagare la parte relativa all’estensione della cig dovevano essere le aziende, attraverso un aumento della contribuzione addizionale a loro carico. Non proprio musica per le orecchie di Confindustria. Mentre i sindacati sono restii ad allentare la presa sui fondi bilaterali che erogano l’assegno a chi oggi non è coperto dalla cig.

Il 7 aprile Orlando ha parlato dell’emergere di “una serie di resistenze legate anche all’accumularsi di strumenti che hanno prodotto ecosistemi che in qualche modo hanno un loro equilibrio ma che se non messi in discussione, non armonizzati rischiano di costituire un elemento in contraddizione con l’obiettivo dell’universalità della prestazione”. E oggi, contrariamente alle attese, non presenterà ai sindacati alcuna bozza di intervento. I tempi si allungano ancora: intervistato dal Messaggero, spiega che l’auspicio è quello di definire “entro luglio i beneficiari e il perimetro della cig universale”. Dal 1° luglio però, a meno di ripensamenti del governo invocati anche in queste ore dai sindacati, le aziende manifatturiere saranno libere di licenziare.

Politiche attive appese alle mosse delle Regioni – L’altro pilastro, accanto agli ammortizzatori, sono le politiche attive: il sistema che tutela chi perde il lavoro deve essere in grado di assisterlo con efficacia nella ricerca di un nuovo posto, altrimenti non regge. Nel documento presentato da Orlando alle parti sociali il 27 febbraio si spiegava quindi che “una protezione sociale di matrice universale non può prescindere dal potenziamento e dall’adeguamento delle competenze professionali” e che “il potenziamento e la razionalizzazione del sistema delle politiche attive diviene un passaggio fondamentale in particolare alla luce degli attesi mutamenti strutturali e dei cambiamenti nella domanda di competenze che le imprese esprimeranno nei prossimi anni”. Ma tradurre in pratica i buoni propositi vuol dire affrontare l’annosa grana dei centri per l’impiego, rimasti in capo alle Regioni dopo il fallimento del referendum costituzionale di Renzi che puntava ad attribuire tutte le competenze all’Anpal. Due giorni fa il ministro ha avviato incontri con gli assessori regionali che devono avviare le assunzioni di 11.600 persone entro fine anno come previsto da un decreto della Catalfo, più che raddoppiando l’attuale numero di addetti. Lo stato dell’arte? Il ministro ha scoperto che molti “non hanno nemmeno un piano”. E “sono proprio le Regioni con i tassi di disoccupazione più alti ad essere in grave ritardo“. Ma non è l’unico punto da risolvere: restano da decidere le sorti dell’Agenzia delle politiche attive e del suo presidente Mimmo Parisi.

Modifiche al reddito di cittadinanza – Le politiche attive d’altro canto dovevano essere anche – nei piani del Movimento 5 Stelle – il secondo pilastro del reddito di cittadinanza, per aiutare quella parte di percettori che sarebbe in grado di rientrare nel mercato del lavoro. Il quadro al momento è desolante: stando agli ultimi dati della stessa Anpal, al 1° aprile a fronte di 1 milione di beneficiari del rdc soggetti al “patto per il lavoro” solo il 31% è stato preso in carico e solo 969 hanno ricevuto l‘assegno di ricollocazione da “spendere” nei centri o nelle agenzie per il lavoro private. Nel frattempo si è insediato il comitato di valutazione del rdc, incaricato di fare il punto sull’attuazione della misura dando indicazioni sulle modifiche necessarie per renderla più equa ed efficace. I lavori sono blindati ma nei giorni scorsi Daniele Checchi, capo della direzione Studi e Ricerche dell’Inps, sul Domani ha pubblicato un intervento in cui auspica modifiche nella tutela della privacy che consentano di “rovesciare il rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione”: dovrebbe essere la pa, attraverso l’incrocio delle banche dati, a riconoscere il diritto all’aiuto. Così si aiuterebbero le persone in stato di bisogno “senza che costoro debbano sottoporsi alla umiliazione della prova dei mezzi” e i controlli sarebbero preventivi. Una posizione in linea con quella della presidente del comitato, la sociologa Saraceno, secondo cui “ci sono troppi paletti che ostacolano i poveri veri e sono facilmente aggirati dai truffatori“.

Autonomi in attesa della norma sull’anno bianco – Intanto gli autonomi aspettano. Non solo la riforma che dovrebbe rendere universali gli ammortizzatori ma anche la concretizzazione dell'”anno bianco contributivo” promesso lo scorso anno ai più colpiti dalla pandemia. Alessandro Amitrano, deputata M5s in commissione Lavoro, ha depositato un’interrogazione sui ritardi nell’emanazione del decreto attuativo della novità prevista dall’ultima legge di Bilancio e rifinanziata con il decreto Sostegni, che ha portato la dote a 2,5 miliardi. Secondo il ministero il testo è in dirittura d’arrivo. Le associazioni che rappresentano le partite Iva, però, spiegano che insieme all’esenzione dal pagamento dei contributi per chi ha perso almeno il 33% del reddito occorre prevedere il versamento dei contributi figurativi: altrimenti i beneficiari dovranno lavorare un anno in più, a fine carriera, per avere la pensione.

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