Dopo che Fratelli d’Italia ha fatto notare che il Parlamento sarà coinvolto molto marginalmente nel varo del Piano di ripresa e resilienza di Draghi, il governo cambia rotta. Secondo Public Policy, il consiglio dei ministri che si terrà tra giovedì e venerdì farà solo una prima discussione sulla versione definitiva del testo messa a punto dal premier e dai ministri tecnici. Ma non ci sarà un voto, che viene invece rinviato al 29 o 30 aprile, subito dopo le comunicazioni del presidente del Consiglio alle Camere e subito prima dell’invio del Pnrr a Bruxelles. In questo modo il ruolo di Camera e Senato sarebbe riconosciuto, anche se solo formalmente, visto che non ci sarà comunque il tempo per discuterlo nel dettaglio. Intanto in maggioranza iniziano ad emergere le prime crepe: il deputato pentastellato Riccardo Fraccaro, tra gli ideatori del Superbonus, avverte che il taglio delle risorse destinate allo sgravio per gli efficientamenti energetici anticipato da La Stampa “per il M5S sarebbe inaccettabile”. E chiede una smentita ufficiale al Tesoro.

Il quotidiano torinese scrive, appunto, che tra le novità “presentate dal ministro del Tesoro Daniele Franco ai ventisei colleghi dell’Ecofin venerdì scorso” c’è un taglio della dotazione dell’ecobonus al 100% che “sarà ridotto di almeno un terzo“, rispetto ai 18 miliardi del piano di Conte, per accontentare i Paesi nordici contrari a finanziare con il Recovery dei tagli fiscali. Tra le anticipazioni c’è poi una revisione al ribasso delle risorse per la transizione ecologica e la sanità in favore della missione Digitalizzazione.

Per ora, comunque, di certo ci sono solo i numeri messi nero su bianco nel Documento di economia e finanza. L’Ufficio parlamentare di bilancio, nell’audizione sul Def, ha esaminato nel dettaglio i macro saldi sui fondi che il governo si aspetta di ricevere dalla Ue e le differenze rispetto al Pnrr presentato a gennaio, subito prima della crisi di governo, da Giuseppe Conte. La principale è che aumentano in modo “rilevante” – di 15 miliardi – le risorse finalizzate a progetti aggiuntivi, cioè opere o riforme “nuove”, non già finanziate con fondi nazionali.

Dalla Ue arriveranno – a patto che l’Italia rispetti la tabella di marcia e i target intermedi – 69,9 miliardi di sovvenzioni e 122,6 di prestiti (nel 2020 si stimava che la cifra fosse un po’ più alta, ma i dati aggiornati sulla perdita di pil hanno portato a una revisione) per un totale di 191,5 a valere sulla Recovery and resilience facility, più 13,5 dal programma React Eu e 1,5 a carico del Just transition fund: così si arriva a 206,5 miliardi. Il Pnrr di gennaio prevedeva che tutte le sovvenzioni ma solo 40 miliardi di prestiti andassero a progetti aggiuntivi: ora la seconda voce sale a 53,5 miliardi. Inoltre vengono cifrate tra le risorse aggiuntive anche gli 1,5 miliardi di altre sovvenzioni: si arriva così a 123,4 miliardi aggiuntivi, 15 in più rispetto alla cifra di gennaio.

L’altra novità è che entrano in gioco 31,5 miliardi di risorse nazionali aggiuntive, che confluiranno in un fondo ad hoc. Sommandole ai 206,5 miliardi si arriva a 238: è questo il valore finale del nuovo Pnrr “allargato”. Tenendo conto anche di questi soldi, il complesso delle risorse aggiuntive tocca i 168,9 miliardi, “risultando più elevato di 46,5 miliardi rispetto alla proposta di gennaio scorso”.

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