La multinazionale israeliana prevede di fermare l’attività a metà 2022. Una scelta motivata con un calo dei volumi produttivi che ha portato “a costi di struttura non più sostenibili”, sostiene l’azienda. Ma per i sindacati le ragioni della chiusura vanno cercate nella gestione discutibile dello stabilimento. Il sindaco del paese nel Milanese: "Regione Lombardia e ministero dello Sviluppo economico devono occuparsi subito di questa situazione"
La decisione è stata annunciata senza alcun preavviso martedì 20 aprile: Teva, multinazionale della farmaceutica da 17 miliardi di fatturato, intende chiudere entro 15 mesi lo stabilimento di Nerviano, in provincia di Milano, dove si producono farmaci utilizzati in campo oncologico. Sono 360 i lavoratori coinvolti nello storico sito del Legnanese che ora rischiano il posto. Un colpo durissimo per l’occupazione del territorio che ha provocato la reazione immediata dei sindacati e delle istituzioni locali: “Regione Lombardia e ministero dello Sviluppo economico devono occuparsi subito di questa situazione”, ha detto in una nota il sindaco di Nerviano, Massimo Cozzi. “Stiamo parlando di un polo farmaceutico di assoluta eccellenza, un fiore all’occhiello per il nostro territorio: il mantenimento di quest’area produttiva è fondamentale”.
La multinazionale israeliana prevede di fermare l’attività a metà 2022. Una scelta motivata con un calo dei volumi produttivi che ha portato “a costi di struttura non più sostenibili”, sostiene l’azienda. Ma per i sindacati le ragioni della chiusura vanno cercate nella gestione discutibile dello stabilimento. In un settore, quello farmaceutico, che ha risentito sicuramente meno di altri della pandemia. “Nel 2016, quando è stato acquisito, lo stabilimento aveva all’attivo contratti importanti, ma non è stato fatto abbastanza per mantenerli”, racconta Francesco Restieri della Filctem Cgil locale. “Il sito non è stato mantenuto a livelli efficienti. Gli indicatori che dipendono dalla forza lavoro, come qualità e produttività, sono positivi: quello che è venuto meno è stato l’aspetto commerciale e gestionale”.
Il sito di Nerviano è stato fondato nel 1965 da Farmitalia e negli anni è passato attraverso diverse acquisizioni, tra cui quella di Pfizer che nel 2004 divise la struttura dal vicino Centro di ricerche, poi venduto. Nel 2016 il passaggio decisivo: Teva, in Italia dagli anni Novanta, acquisisce la multinazionale irlandese Actavis Generics, che controllava anche lo stabilimento di Nerviano. L’operazione espone il gruppo israeliano a un indebitamento mostruoso e appena un anno dopo l’azienda annuncia il taglio di 14mila dipendenti in tutto il mondo. Le ripercussioni si fanno sentire ovunque: “Il calo della produzione è iniziato nel 2018”, racconta Franca, tecnica di laboratorio che lavora a Nerviano da 33 anni. “Le commesse non venivano confermate o rinnovate e in poco tempo abbiamo perso diversi clienti storici”. Dall’inizio di quest’anno la produzione è di fatto ferma, con l’azienda che ha comunicato un calo del 75 per cento. “Abbiamo tantissime certificazioni e lavoriamo per mercati mondiali: è uno stabilimento che ha fatto la storia e ha ancora molto da dare”.
In febbraio Teva aveva annunciato la stessa decisione per un altro sito italiano del gruppo, quello di Bulciago, nel Lecchese. Dalla chiusura nel giro di tre mesi si è arrivati all’accordo per un anno di cassa integrazione straordinaria. Il gruppo si è detto disponibile a valutare la cessione dell’impianto e ora anche Regione Lombardia è alla ricerca di possibili acquirenti, per salvaguardare una struttura che ha alle spalle 50 anni storia e dare un futuro ai suoi 109 dipendenti. Un percorso che potrebbe ripetersi a Nerviano, dove l’azienda si è detta disponibile a valutare eventuali manifestazioni di interesse ma è irremovibile sulla chiusura dell’impianto: “Questi 15 mesi devono essere utilizzati per dare continuità ai lavoratori e assicurare l’attività dello stabilimento”, dice ancora Restieri. “È importante non solo per lo sviluppo economico e sociale del territorio ma anche a livello nazionale: l’Italia non può permettersi di perdere un sito farmaceutico così importante in questo momento storico”.