La Superlega è morta, i tifosi esultano, il calcio è salvo. Più o meno. Il pericolo di un campionato dei ricchi è sventato, però il problema resta. Juventus, Real Madrid e le altre congiurate hanno sbagliato tutto ciò che potevano sbagliare: la comunicazione e il comportamento, la forma e la sostanza, perché la Superlega sarebbe stata davvero un’aberrazione sportiva. Su una cosa però avevano ragione: il baraccone così com’è adesso semplicemente non sta più in piedi. Il calcio deve cambiare. Solo, non nella maniera in cui volevano loro.

Il pallone è a un passo dal baratro e non basterà questo moto d’orgoglio anti-Superlega a salvarlo. Il calcio è arrivato a un punto in cui spende molto più di ciò che guadagna. Lo ha sempre fatto in realtà, perché è nello spirito del calcio moderno sprecare, dilapidare, consumare il più possibile. Ma adesso siamo davvero al punto di non ritorno. Il Covid, gli stadi chiusi, la fuga degli sponsor, è stata solo la mazzata finale, perché il processo era innescato da tempo. I ricavi sono finiti, più di tanto con questo mercato e questi tifosi non possono crescere. Mentre i costi continuano a lievitare, gonfiati a dismisura dagli stipendi senza freno dei campioni e le commissioni folli degli agenti. Ed è per questo che arriva la Superlega: trovare nuovi modi per aumentare le entrate e alimentare il carrozzone, coprendo i debiti miliardari accumulati dalle società.

La soluzione su cui tramavano Agnelli &Co. era la più meschina di tutte: uccidere di tutti gli altri per salvare se stessi, perché di fatto questo significava la Superlega. Hanno ragionato nella maniera più semplicistica ed egoista, accecati dall’idea malsana che i ricavi del pallone siano una linea retta che possa crescere all’infinito. Oggi il pallone è una bolla che sta per esplodere. Invece di sgonfiarla, loro hanno provato a crearne una ancora più grande.

La Superlega era sbagliata non perché nessuno qui creda più all’idea romantica del calcio popolare (morto e sepolto da tempo), ma solo perché non era più calcio, con il meccanismo del campionato a inviti che rinnega l’unico principio irrinunciabile dello sport, il verdetto del campo. Respinto al mittente questo pericoloso tentativo, adesso però bisognerà affrontare seriamente il problema. L’espressione “decrescita felice” evoca teorie economiche controverse, ma forse farebbe davvero il caso del pallone. Il calcio deve accettare di aver raggiunto il suo massimo punto di espansione, almeno in questo particolare momento storico, e anzi di averlo superato, quindi di dover fare un passo indietro. Servono provvedimenti per restituire sostenibilità e competitività al sistema.

Ridurre il numero delle società professionistiche, con una Serie A (ma vale per la maggior parte dei campionati nazionali) a 18 squadre, ipotesi di cui si discute da anni senza riuscire mai a far nulla, per l’opposizione dei club e l’inettitudine dei politici. Diminuire le partite in calendario, che in pandemia abbiamo scoperto essere intasato oltre ogni misura. E quindi di conseguenza anche il numero di calciatori in rosa. Porre un freno agli stipendi, alla follia di un Cristiano Ronaldo pagato 30 milioni netti l’anno: non per moralismo spicciolo, semplicemente perché il mercato calcistico non consente di pagare tanto i suoi campioni (e lo dimostra il bilancio della Juventus, letteralmente esploso per il salario di CR7). Magari con un meccanismo di salary cap (una delle poche idee buone della Superlega, che lo fissava al 55% dei ricavi) e una guerra senza quartiere alle pretese dei procuratori sportivi.

La soluzione per una volta è il segno meno, e non il più. Soltanto riducendo costi e partite si restituirà qualità, competitività e sostenibilità al sistema. Questo però non sembra averlo capito nemmeno l’Uefa, carrozzone imbarazzante passato come difensore del calcio tradizionale, che nella nuova Champions appena approvata ha aumentato squadre (a 36) e partite (addirittura 225 l’anno). Adesso è il momento delle riforme vere, che costano sacrifici. Altrimenti il giocattolo si romperà comunque. Abbiamo salvato il calcio dalla Superlega. Ora dobbiamo salvarlo da se stesso.

Twitter: @lVendemiale

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