Sessantanove persone fisiche e 2 società, Autostrade per l'Italia e Spea, nel mirino dei pm Massimo Terrile e Walter Cotugno al termine di quasi tre anni di inchiesta. Le accuse: "C’è stata un’incosciente dilazione dei tempi rispetto alle decisioni da assumere ai fini della sicurezza. Nonostante numerosi segni premonitori, nessuno ha preso decisioni per la messa in sicurezza degli stralli, le parti più critiche del viadotto"
La procura di Genova ha chiuso le indagini per il crollo del ponte Morandi, il viadotto autostradale della A10 collassato il 14 agosto 2018 causando la morte di 43 persone. In queste ore la Guardia di finanza sta notificando gli avvisi agli indagati, 69 persone fisiche e 2 società, Autostrade per l’Italia e Spea. L’inchiesta è durata quasi tre anni nel corso dei quali sono stati fatti due incidenti probatori, uno sullo stato di salute del viadotto e un secondo sulle cause vere e proprie del crollo che si è chiuso a fine febbraio. Alla base delle accuse la perizia redatta dal professor Pier Giorgio Malerba, docente della Statale di Milano, e l’ingegnere Renato Buratti, scelti come consulenti dai pubblici ministeri Massimo Terrile e Walter Cotugno.
Parlano di “incoscienza”, “immobilismo”, “negligenza” e comunicazioni “incomplete, equivoche, fuorvianti”. Oltre ovviamente alle “manutenzioni inadeguate”. La perizia dei due consulenti è l’architrave delle accuse mosse dalla procura guidata da Francesco Cozzi che, con ogni probabilità, chiederà nei prossimi mesi il rinvio a giudizio per le persone sotto inchiesta, tra le figurano tutti gli ex vertici di Autostrade, dall’ad Giovanni Castellucci al numero due e tre della società, Paolo Berti e Michele Donferri Mitelli. “C’è stata un’incosciente dilazione dei tempi rispetto alle decisioni da assumere ai fini della sicurezza – si legge nella perizia, come riporta il Corriere della Sera – E ciò nonostante si fosse a conoscenza della gravità e della contemporanea evoluzione degli stati di ammaloramento del viadotto”.
Malerba e Buratti sottolineano anche la “confusione e accavallamento di ruoli nella catena di responsabilità dei vari soggetti coinvolti, ovvero Aspi, Spea, Autorità preposte alla vigilanza e al controllo, consulenti e tecnici esterni”. In sostanza: “Non è stata presa alcuna decisione operativa in merito alla sicurezza strutturale”. Perché “tale decisione avrebbe dovuto comportare scelte importanti, quali l’immediata chiusura al traffico del viadotto”. Ma da parte di chi poteva intervenire ci fu, in sostanza, “negligenza nell’ignorare i segnali riscontrati a monte dell’intervento del 1994 e successivamente rilevati nella loro progressione da quella data fino al crollo”. Al quale si arriva, si legge ancora, “nonostante numerosi segni premonitori”, perché “nessuno ha preso decisioni per la messa in sicurezza degli stralli, le parti più critiche del viadotto”. Per 50 anni “i cavi della pila collassata non sono stati oggetto di alcun sostanziale intervento di manutenzione”.