Nel 2006 il deputato pugliese Cosimo Faggiano fu proclamato solo l’ultimo giorno della nella XIV legislatura. Pochi lo sanno ma finì per fare causa allo Stato e nel 2007 ottenne il riconoscimento di tutti gli stipendi arretrati per un totale di 1,7 milioni di euro: mai un giorno di “lavoro” da parlamentare fu più redditizio, mai costò tanto agli italiani. La beffa sta per ripetersi oggi, con mezza Italia piegata dalla crisi, stavolta per un gioco di casta, politica e relazioni private che chiama in causa il Senato, la sua presidente Casellati e il partito di Salvini. Protagonisti un senatore mai proclamato pur avendone diritto e una senatrice che resta sullo scranno pur avendolo perso perché dichiarata decaduta. Il loro avvicendamento è ostaggio dell’inerzia della presidenza di Palazzo Madama: in otto mesi non ha trovato un minuto per calendarizzare la ratifica della sostituzione e scongiurare il rischio di un secondo, clamoroso, caso di sperpero di soldi pubblici.

Vittima della kafkiana vicenda è Michele Boccardi, imprenditore della ristorazione e attuale presidente nazionale di Assoeventi di Confindustria, già senatore con Forza Italia nella legislatura terminata nel 2018. La sua odissea inizia con le elezioni di quell’anno. Il Viminale assegna un seggio a Forza Italia ma per un errore materiale della Corte d’Appello di Bari va a favore di Anna Carmela Minuto, che viene proclamata al suo posto. Boccardi fa ricorso, scatta il riconteggio che acclara l’errore. Il 24 settembre la Giunta delle Elezioni del Senato dichiara la Minuto decaduta e il 6 ottobre successivo propone l’annullamento della sua elezione. Il regolamento di Palazzo Madama prevede il passaggio in Aula entro 30 giorni eppure quel voto finale ancora non c’è stato. Così la Minuto “abusiva” resta al suo posto, il titolare legittimo resta fuori. Male per lui, ma soprattutto per noi.

Siccome la giurisprudenza nazionale ha stabilito che il senatore eletto in ritardo per errore ha diritto a tutti gli arretrati, ma quelli erogati per errore a un altro non possano essere defalcati, prorogando le cose lo Stato si troverà a pagare due volte per lo stesso seggio. Proprio come accaduto con il “povero” Faggiano. Per Boccardi il conteggio dei cedolini partirà dal 23 marzo 2018: fanno già tre anni di doppi emolumenti, ma ogni giorno che passa il conto sale. Evidenti i profili di danno erariale, senza scomodare questioni più raffinate come l’effettiva rappresentatività del corpo elettorale, la legittima proclamazione dei senatori, le leggi, i regolamenti e quant’altro.

“Non riesco a darmi una spiegazione”, sbotta Boccardi che lamenta di aver mandato fior di solleciti alla Casellati “ma una volta mi dicono che c’è il Covid, poi che c’è la crisi di governo, poi l’insediamento di un altro e ogni volta si rinvia la decisione quando la procedura per calendarizzare il voto durerà sì e no 15 minuti e basta metterla all’ordine del giorno perché se il voto non viene richiesto la sostituzione diventa definitiva d’ufficio”. Inutili finora i solleciti della stessa Giunta “affinché la Conferenza dei Gruppi parlamentari inserisca al più in calendario l’esame della proclamazione” che attende solo quel passaggio in mancanza del quale non può perfezionare la verifica dei poteri del Senato della Repubblica che avrebbe concluso da mo’.

“Il mio cliente – sostiene l’avvocato Gianluigi Pellegrino – è vittima di un’inerzia dovuta senz’altro a pressioni politiche, a questo punto non c’è altra spiegazione nel contravvenire alla legge e al regolamento del Senato. Che vuole che le dica, cane non mangia cane”. Boccardi del resto ha gioco facile a ricordare che tutte le forze politiche hanno votato a favore della sua proclamazione e conseguente decadenza della Minuto salvo la Lega di Matteo Salvini. Il caso vuole che la senatrice illegittima sia la compagna di Davide Bellomo che è il capogruppo della Lega in Regione Puglia. Non solo. La Minuto, sentendosi abbandonata dal partito che le ha votato contro, si palesò tra i “volenterosi” pronti a sostenere Giuseppe Conte, nella speranza – furono le ricostruzioni – che il passaggio nelle fila della maggioranza l’aiutasse a tenere il posto ormai pesantemente in bilico (ma l’operazione non si perfezionò mai).

Interrogata sulle motivazioni della calendarizzazione mancata, la Casellati non risponde. Il suo ufficio stampa sostiene che la presidente abbia messo la questione all’ordine del giorno e che a farla slittare è la capigruppo. A richiesta di indicare quante volte e quando non risponde, ma ricorda l’esistenza di una delibera “o un tacito accordo dei capigruppo per dare priorità alle misure per l’emergenza Covid”. Così in una delle due Camere dove da un anno si lamenta di non toccar palla sui decreti emergenziali (con relativi rischi democratici) si scopre che non c’era un minuto per la Minuto. Almeno per evitare il danno e la beffa del seggio pagato due volte.

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