Vincenzo Onorato ha rilasciato un’intervista esclusiva su Moby Prince pubblicata oggi su La Nuova Sardegna ad oltre vent’anni dalle ultime dichiarazioni stampa rilasciate sull’argomento. A due settimane dal verdetto del tribunale di Milano sul fallimento della sua azienda, Moby, che rilevò l’ex compagnia pubblica di navigazione Tirrenia, l’armatore del traghetto della strage del 10 e 11 aprile 1991 sui cui misteri stanno indagando trent’anni dopo la Procura di Livorno e la Direzione distrettuale antimafia di Firenze, e presto una nuova inchiesta parlamentare alla Camera, attribuisce la collisione tra il Moby Prince e la petroliera statale Agip Abruzzo ad una “bomba che si trovava nel locale del motore delle eliche di manovra, a prua”. Secondo Onorato la bomba avrebbe fatto “esplodere la prua” dopo l’uscita dal porto di Livorno, causando l’impossibilità per il comandante del traghetto di vedere quanto lo contornava e facendolo pensare “ad una collisione” cui avrebbe reagito “mettendo il timone a dritta” e andando in conseguenza “contro la petroliera”. Onorato aveva già sostenuto la tesi dell’ordigno durante il primo processo sul disastro navale concentrato su tutt’altra tesi, ma in quell’udienza di dibattimento del 22 gennaio 1996 attribuì l’attentato alla concorrenza della Corsica Ferries guidata da Pascal Lotà. Oggi invece, a distanza di 25 anni da quell’udienza, l’armatore della Moby Prince ha cambiato versione: la bomba l’avrebbe messa qualcuno che “doveva conoscere bene la nave, ma non intendeva provocare una strage, altrimenti l’avrebbe messa in una borsa abbandonata nel salone passeggeri” e questo qualcuno sarebbe stato spinto da un movente che chiama in causa scenari geopolitici: “C’era la Guerra del Golfo – ha detto Onorato a La Nuova Sardegna -, la situazione in politica estera era estremamente difficile, c’erano navi sconosciute in rada“.

Bomba o non bomba
Che nel locale eliche di prua avvenne un’esplosione è un dato storico. Così come la presenza in quello spazio di tracce di sette composti esplosivi – di cui “cinque tipici di composizioni esplosive ad uso “civile” denominate “Gelatine-Dinamiti” – attestate dal consulente tecnico della Procura di Livorno (citato anche da Onorato nell’intervista), Alessandro Massari, nel febbraio 1992. A smentire che quelle composizioni fossero esplose e a sostenere fossero solo bruciate arrivò però nell’ottobre 1992 la relazione della commissione ministeriale dalla Marina Militare, in particolare dalla Mariperman, cioè la sua Commissione permanente per gli esperimenti del materiale da guerra Istituto Chimica Esplosivi. Proprio quella Marina Militare identificata oggi come al comando del mancato soccorso pubblico costato la vita alle 140 vittime.

Secondo la Marina Militare l’esplosione nel locale eliche di prua fu una deflagrazione dei gas prodotti dall’incendio successivo alla collisione, usciti dalla cisterna speronata del Moby Prince insieme al combustibile e arrivati in qualche modo solo nel locale eliche di prua del traghetto a soglie di concentrazione e temperatura tali da deflagrare.

Le dichiarazioni di Onorato riaprono dunque un capitolo controverso del caso Moby Prince, toccato dal pm a capo delle indagini fino al 1994 che nel tentativo di tenerlo aperto lo descrisse al giudice Roberto Urgese come “l’ombra inquietante, da più parti affatto inspiegabilmente liquidata come assolutamente fantasiosa, di un evento doloso, concausa nell’andamento della vicenda”. Urgese ignorò quell’indicazione così come gli spunti sulla stessa pista presenti nel “fascicolo fantasma” rinvenuto e raccontato da ilfattoquotidiano.it. Una pista solo sfiorata dall’ultima inchiesta parlamentare e da tre anni all’attenzione della Procura di Livorno, della Dda e della sua polizia giudiziaria, il Gico della Guardia di Finanza.

La pista assicurativa
Nell’intervista Onorato parla per la prima volta anche dello scenario assicurativo, messo sotto accusa dall’inchiesta parlamentare. Dichiara che l’accordo del 18 giugno 1991 siglato con assicuratori e Snam, armatrice statale della petroliera speronata dal Moby Prince, “fu reso noto e non segreto”, benché sia stato acquisito per la prima volta dall’autorità giudiziaria nel 2018, dopo il sequestro di una copia operato dallo Scico della Guardia di Finanza su richiesta della commissione del Senato. Ma soprattutto Onorato segnala che il valore del traghetto Moby Prince era a suo dire di 20 miliardi di lire, importo con cui la compagnia armatrice lo aveva assicurato con ben due polizze, gemelle per importi, di cui una, esclusiva del Moby Prince su tutta la flotta, per “rischi guerra”. E proprio quest’ultima avrebbe protetto il traghetto da eventi come un attentato esplosivo, da lui teorizzato nell’intervista. In realtà a contraddire le dichiarazioni di Onorato sul valore della nave e sulla regolarità del quadro assicurativo è la relazione dei consulenti dell’inchiesta parlamentare 2015-2018 – tra i quali il sostituto procuratore di Roma Francesco Dall’Olio – che hanno rilevato l’anomalia di tale valutazione, 20 miliardi, su un traghetto acquistato sei anni prima a circa la metà del valore: 11 miliardi.

Le coperture dello Stato
Ma Onorato non si è fermato alla tesi bomba, nella sua intervista ha anche definito che l’allora comandante della Capitaneria di Porto di Livorno, Sergio Albanese, e il governo italiano nella persona del ministro della Marina Mercantile, Carlo Vizzini, avrebbero costruito in un colloquio di circa “20 minuti” avvenuto la mattina dopo la strage, quella narrazione poi finita nelle sentenze sulla vicenda e infine smentita dall’ultima inchiesta parlamentare: ovvero l’incidente causato dalla nebbia calata sulla sola petroliera e da un errore umano “banale” del comando del traghetto. “Io la mattina ero lì – dice Onorato – Passai nell’ufficio dell’ammiraglio Albanese. Dopo un po’ arrivò il ministro e mi cacciarono letteralmente fuori. La conversazione durò un quarto d’ora, 20 minuti. Come detto non ho assistito alla stessa, ma ne ho ancora registrata in testa la durata. Appena il ministro andò via – la nave non era neanche tornata in porto – nella loro riunione era già stato stabilito che a causare la strage fosse stata la nebbia, l’errore umano”. Una affermazione che lo stesso Albanese ha ricondotto in commissione d’inchiesta ad un suggerimento da lui offerto al ministro Vizzini, il quale poi riferì questa versione a favore di telecamere senza ulteriori verifiche.

Quando Onorato seppe dell’incidente
Infine l’inchiesta parlamentare 2015-2018 ha accertato che uomini della compagnia armatrice del Moby Prince seppero del coinvolgimento del traghetto nella collisione con l’Agip Abruzzo circa 15 minuti dopo l’evento. Eppure l’armatore del Moby Prince, il loro capo, segnala nell’intervista di essere stato avvisato a “notte inoltrata” dal comandante di armamento, che gli disse dell’incidente “con una petroliera” pur citando solo “una bettolina” e quindi senza che si “avesse alcuna notizia del Moby Prince”. Perché quindi il comandante d’armamento avrebbe chiamato l’armatore se alla fine gli era nota solo una collisione tra una petroliera e una bettolina, resta un dubbio difficile da sanare al pari del come sia possibile che uomini della compagnia armatrice lasciarono ignaro l’armatore del traghetto fino a “notte inoltrata” pur sapendo del coinvolgimento del suo traghetto in un incidente di tale entità. Uomini della compagnia come il capo ispettore tecnico Achille Starace che, come accertato dall’inchiesta parlamentare, evitarono di sollecitare la Capitaneria di Porto su quanto a loro noto durante i fatali 80 minuti in cui il traghetto Moby Prince non fu in alcun modo cercato da chi avrebbe dovuto coordinare il soccorso pubblico.

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