di Serena Longaretti*
L’autostrada BreBeMi (Brescia, Bergamo, Milano) è stata aperta al traffico nel 2014. È stata la prima autostrada italiana realizzata in project financing ma con fondi pubblici e ampie garanzie da parte della Banca Europea per gli Investimenti e la Cassa Depositi e Prestiti. Un’autostrada che allora apparve del tutto inutile, un monumento al consumo di suolo e allo spreco: famoso il filmato che ritraeva un gruppo di ragazzi che indisturbati giocavano a calcio su corsie deserte!
Ancor prima della sua inaugurazione erano, però, state presentate ai Comuni interessati dal suo tracciato richieste di autorizzazione per la realizzazione di insediamenti logistici. Le norme vigenti ne consentono la realizzazione purché localizzati nei pressi di svincoli autostradali e ne prevedendo l’esclusione dalla Verifica di Impatto Ambientale qualora si tratti di insediamenti inferiori a 400.000 metri quadri che non interferiscano con altri insediamenti (un chilometro la distanza minima dal perimetro dello stesso); consentono inoltre varianti ai Pgt (Piano di Governo del Territorio) per modificare la destinazione d’uso dei terreni “liberi”, al fine di renderli appetibili per nuovi investimenti.
Strumenti legislativi che delegano, di fatto, la pianificazione a processi sovraordinati e alle forze del mercato, consentono uno scarso controllo sulle conseguenze ambientali del fenomeno nella sua complessità, non pongono alcuna attenzione alla qualità della poca terra ancora coltivabile e tantomeno alla tutela delle caratteristiche del paesaggio della bassa pianura lombarda. In terra bergamasca si tenta di riproporre l’esperienza BreBeMi con l’autostrada Bergamo-Treviglio, anch’essa in project financing, anch’essa sovvenzionata da Regione Lombardia.
Il proliferare degli insediamenti dedicati alla logistica non si limita ovviamente alla Bergamasca (dove già si contano circa 3.500.000 metri quadri sacrificati al cemento, con capannoni grandi come paesi corredati da nuove strade e conseguente traffico pesante, per i quali spesso le Amministrazioni locali non ritengono necessario approfondire gli effetti sulla cittadinanza, sul sistema irriguo, sulla biodiversità) e coinvolge tutta la bassa pianura lombarda da Cremona a Mantova, da Pavia a Lodi.
Lungo la via Mantova a Cremona c’è, tra gli altri, il Piano attuativo per l’Ambito di Trasformazione “CR.28 – S. Felice / via Mantova” che copre un’area di 295.150 metri quadrati attestati a settentrione lungo il tracciato dell’Autostrada Cremona-Mantova, che ci auguriamo non venga realizzata perché è un ulteriore spreco di suolo e di fertilissima campagna. In provincia di Pavia sono svariate le istruttorie in corso per la realizzazione di insediamenti logistici: a Trivolzio, una società californiana propone un nuovo insediamento logistico lungo 180 metri e alto 22 metri, in un terreno fino allo scorso anno coltivato a risaia, e a Casatisma l’imponente struttura logistica si svilupperebbe intorno al monumentale Palazzo Mezzabarba, tutelato dal ministero dei Beni Culturali.
Non si pretende con queste poche righe di indicare la soluzione a un fenomeno complesso, ma ribadire con forza il diritto della collettività ad essere ascoltata dalle Amministrazioni, che hanno il compito ineludibile di esercitare il governo del territorio nel rispetto di valori fondamentali come quelli esplicitati nella seconda parte dell’art. 9 della nostra Costituzione. Riteniamo che gli strumenti per il raggiungimento di questo fine siano disponibili e ne elenchiamo alcuni:
– Piani d’area regionali e interprovinciali che:
1. definiscano parametri univoci e aggregati di sostenibilità, con riferimento alle conseguenze che tali interventi di grande impatto possono avere sulla salute e sulle ricadute sociali economiche e culturali di chi abita le aree interessate, sull’intero “sistema” degli esseri viventi ivi presenti, sulle caratteristiche millenarie del paesaggio lombardo e sulle esigenze di un settore produttivo, quale l’agricoltura, fortemente penalizzato da insediamenti produttivi, commerciali, logistici, fotovoltaici a terra e alle prese con un processo di riconversione difficile e complesso;
2. che privilegino localizzazioni già “cementificate”;
3. che evitino di aggravare i flussi di traffico pesante nei centri urbani.
– Norme tecniche di attuazione che:
1. prevedano reali azioni di compensazione quali la creazione di boschi o il restauro di porzioni di paesaggio agrario;
2. impongano programmi di riconversione delle aree interessate atti a restituire almeno la permeabilità dei suoli;
3. impongano l’utilizzo di materiali da costruzione riciclabili, memori del già enorme e diffusissimo problema delle aree produttive e commerciali dismesse.
Non è questa la sede per discutere di un modello di sviluppo che riteniamo ormai non più adeguato ai gravi problemi indotti dalla cosiddetta globalizzazione, dai cambiamenti climatici, dalla cultura del consumismo e dalle conseguenti ricadute sulla qualità del lavoro, ma pur nella consapevolezza che il profitto sia una componente fondamentale dell’economia, ribadiamo con forza che compito di chi è chiamato a gestire la cosa pubblica in democrazia è salvaguardare i beni comuni e tutto ciò che racconta la storia di una collettività.
*Architetto e Presidente Consiglio Regionale Lombardo di Italia Nostra Onlus