Scatta il pianto collettivo dei gestori di fondi di fronte all’ipotesi di un aumento delle tasse statunitensi sui guadagni realizzati con la compravendita di prodotti finanziari, i cosiddetti capital gain. Tra City e Wall Street è tutto un metter mano ai fazzoletti di Hermès per asciugar lacrime. Ieri è stato anticipato un provvedimento del piano di riforma fiscale dell’amministrazione Biden che vuole alzare il prelievo dal 20 fino al 43%. Quest’ultima aliquota si applica però solo ad investitori particolarmente benestanti con redditi superiore al milione di dollari (830mila euro) all’anno. A conti fatti l’aggravio riguarderebbe appena lo 0,3% più ricco degli investitori. Se si considera però che la quasi totalità delle attività finanziaria appartiene al 10% più ricco della popolazione qualcuno ha dipinto la riforma come una “patrimoniale soft”. Come d’abitudine sta partendo la vigorosa azione di lobbying dell’industria finanziaria che oggi manda i primi segnali dalle colonne dal Financial Times, quotidiano di riferimento della comunità finanziaria internazionale. Ci si prepara insomma alla battaglia in vista dell’iter della riforma al Congresso che inizierà la settimana prossima. Il gettito derivante dall’incremento del prelievo servirà per rafforzare interventi a sostegno dell’infanzia e della scolarizzazione, soprattutto nelle fasce più povere della popolazione.

La Casa Bianca è convinta che la misura sia comunque popolare e che quindi sarà approvata, ma allo stesso tempo è consapevole di non poter perdere neanche un voto democratico in Senato. E l’esito non è scontato neppure alla Camera. Il primo a firmare il “cahier de doléances” è Scott Minerd di Guggenheim Partners che gestisce patrimoni per 310 miliardi di dollari e definisce l’aumento delle tasse sui profitti di borsa “una pazzia” perché “scoraggerà la gente ad investire”. Più ardito il ragionamento di Anthony Scaramucci, a capo del fondo speculativo SkyBridge secondo cui l’incremento del prelievo avrà “effetti deleteri sulla creazione di posti di lavoro e sulla crescita dei salari della classe media”. La proposta potrebbe “uccidere la gallina dalle uova d’oro che è l’America”, rincara il venture capitalist Tim Draper, uno dei più conosciuti venture capitalist della Silicon Valley. “Uno schiaffo in faccia agli imprenditori” lo definisce Michael Sonnenfeldt del fondo speculativo Tiger 21 dove vengono accettati solo investitori con almeno 10 milioni di dollari, precisando che “non ci sono garanzie sul fatto che raddoppiare le tasse sul capital gain si tradurrà in un raddoppio delle entrate fiscali. La gente troverà un modo per aggirarle”.

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