Ci incontrano davanti alle scuole dell’infanzia e siamo le più disorganizzate con le borse più voluminose, passeggini enormi, capelli spettinati, occhiaie e tuta da ginnastica con la quale forse abbiamo anche dormito. Non ci siamo lavate per bene se non il viso. Abbiamo afferrato in qualche modo il coraggio che non abbiamo e abbiamo portato il nostro bambino diverso tra bambolotti perfetti di genitori meravigliosi. Non ci siamo viste quanto siamo belle noi. Non abbiamo guardato ‘con il dietro degli occhi’, ma solo con ciò che la tradizione ci ha insegnato.
Siamo state chiamate per una riunione con un nome strano ed eravamo solo noi. Si chiama Glh, Gruppo di Lavoro sull’Handicap, e parlano di nostro figlio come fosse una bomba che sta per esplodere. Noi ce ne occupiamo da sole e poi lavoriamo, ci occupiamo della famiglia e della casa e loro per un’ora devono essere in tre. Siamo ancora alla scuola per l’infanzia e una pipì non crea terremoti, ma quella di nostro figlio fa scattare addirittura un verbale. Fanno le feste e ci evitano. Forse per questo a noi il Covid non è apparso come agli altri.
Ma mentre subiamo la mitragliata dei consigli inutili (curati, educa, uscite, dedicatevi a voi…) la nostra bomba vacante cresce e ci ritroviamo ad essere segretarie di Presidenza: Asl, scuola, riabilitazione, servizi sociali e territoriali, ogni genere di sigla ci riguarda. Siamo sole ma ce ne accorgiamo circa 15 anni dopo quando riusciamo a respirare. Al momento non abbiamo il tempo neanche di stare con noi stesse, perché la bomba potrebbe esplodere. Ore e ore di riunione e quando serve siamo sole. È un dato scientifico.
Tutto ciò che gli altri amano per noi è un mostro da cui fuggire: la domenica, la notte, le feste comandate, il mare, il sole, il caldo, il freddo. Superiamo la scuola primaria e crediamo che ormai la bomba non esploderà. Crediamo di poter abbassare la guardia, ma inesorabile arriva la catapulta della scuola superiore di primo grado. Tutti vanno da soli. Sembrano così grandi, così autonomi e così riposati. Parlano di sciocchezze e di argomenti che noi abbiamo dimenticato: moda, trend e vacanze… noi non ne parliamo più da tanti anni. Abbiamo imparato a costruire la nostra maschera almeno in parte e ci siamo rese più invisibili, ma tra noi ci riconosciamo anche senza bomba/figlio perché siamo le uniche a dire: vuoi una mano? Anche se le abbiamo entrambe occupate e abbiamo una gamba ingessata. Siamo amatori di bombe inesplose.
Cresce la barba, si sviluppa il seno, ma la nostra borsa è sempre più grande e contiene ancora pannolini, salviette e farmaci, bicchieri e giochini e cannucce, tutto ciò che occorre al bomba/figlio mai cresciuto… per gli altri. In realtà dopo 12 anni di terapia ha imparato a dire mamma e noi siamo state felici oltre ogni misura del tempo. Dopo 12 anni contrae la bocca per dire che ha dolore, e noi siamo grate a Dio perché avrebbe potuto non imparare. Dopo 12, 13, 15 anni siamo in grado di gestire Peg, Tracheo, crisi epilettiche, crisi di rabbia, distoniche ipotoniche o emotive.
Abbiamo sviluppato l’ira furibonda della madre di disabile che esplode. La bomba trasla. Al primo respiro ci eleviamo come una eruzione vulcanica e riportiamo il silenzio che anni prima ci ha avvolto. Non abbiamo più bisogno di essere omologate per stereotipo. Arriviamo alle superiori. Siamo le più belle. Sorridenti, presenti, coinvolte. Possiamo assumere il comando della battaglia all’ultimo bollo, non prima di aver infilato un bel paio di occhiali da sole perché nessuno si permetta di leggere dietro i nostri occhi quell’inferno che abbiamo vissuto.
Molte di noi hanno cresciuto altri figli che per lo più sono valorosi soldati di un Dio minore, che si posizioneranno in alto fin lassù per sfuggire a quello sguardo inadeguato e frustrante che li ha perseguitati da sempre. Siamo per lo più divorziate e non raramente contiamo più di una esperienza perché siamo diventate incontentabili: abbiamo cresciuto una bomba vacante, non possiamo condividere la nostra essenza con chiunque. Non ne siamo più capaci. Spesso siamo impegnate in politica, nel sociale e nel terzo settore perché vogliamo proteggere quella giovane mamma in tuta, ferma davanti alla scuola per l’infanzia con quel borsone e quel passeggino così diversi.
Diventiamo carogne. Perché siamo buone davvero. Abbiamo rinunciato a tutto e abbiamo ricevuto il doppio. Possiamo dare amore incondizionato come nessun altro. Abbiamo saputo riconoscere il valore della vita. Abbiamo imparato a non dare nulla per scontato. Abbiamo sentito il profumo della libertà senza il pregiudizio. Abbiamo imparato che la vita di nostro figlio non è nostra e che nostro figlio non è nostro, ma di se stesso. Abbiamo guardato in faccia la morte e la malattia e la disperazione e la gioia e il successo e abbiamo ricevuto il dono di poter vivere col cuore. A volte martorizzato dalle prove cruente, ma proprio per questo intenso e leale. Siamo diventate selettive e aggressive.
Un arcobaleno di opposte emozioni e azioni che racchiudo riprendendo le parole di mamma Franca Boccher che, dalla sua pagina social, ricorda il suo Bruno e se stessa: “La morte di Bruno ha lasciato nelle nostre vite un vuoto incolmabile. Tutto parla di lui in questa casa. In questi giorni ho ripercorso a ritroso tutta la sua e la nostra vita. Abbiamo attraversato questo mare insidioso dandoci sempre la mano. A volte bastava un suo sorriso per farmi dimenticare tutte le amarezze e le ingiustizie subite. Le ingiustizie sono state tante. Le promesse mai mantenute nei confronti di mio figlio e di altri ragazzi nella stessa situazione sono incise nel mio archivio dei torti subiti. Nessuno può permettersi di mancare di rispetto a noi madri. Nessuno può ignorare i bisogni dei nostri ragazzi. Ora mi darò un attimo di tregua… poi la mia battaglia continuerà. Lo devo a Bruno. Lo devo a me stessa. Rompere le scatole sarà la mia missione. Questa volta non sarò soft. Io non ho più nulla da perdere. L’accudimento di Bruno, la cura h 24 mi hanno arricchito… ma mi hanno fatto diventare una carogna”.
Questo post è per le mamme, ma non meno valgono i papà che anzi a volte sono esempi di vero eroismo e valore per come riescono a modificare la propria esistenza in meglio per le loro famiglie. Non sempre, purtroppo. Ma questo tema lo potremo affrontare con un papà. Ultimamente ho ritrovato persone della mia vita 1.0 e mi sono resa conto che se tutti cambiamo, per noi il processo di cambiamento è una conversione di essenza vitale. Un abbraccio a Franca che mi ha permesso di gridare con lei.