Conosce le Sacre Scritture meglio di qualsiasi persona che si dichiara cristiano ma è un narratore non credente. Sviscera la napoletanietà con le sue luci e ombre ma vive a Roma da 50 anni. È nato in una città di mare ma la montagna è il suo habitat e ha scritto “La cima è il mio punto e a capo. Bello per me che coincide con il cielo”. Scala la montagna, falangi conficcate nella roccia perché “una vetta raggiunta è il bordo di confine tra il finito e l’immenso”. Vive in campagna, in una casa recuperata da un rudere con le sue mani mattone su mattone, una vita semplice senza fronzoli, isolato dal mondo che non ha niente a che vedere con le misure rispettive imposte dalla pandemia. Essenziale nello stile di vita e nelle parole. Che poi sono tradotte in 30 lingue. ”La ricchezza addobba spazi che poi lascia vuoti. Ha troppi possedimenti da abitare”. Ama il dialogo purché non sia un interrogatorio.
Non si è mai sposato, non appartiene alla categoria mariti: “Sono rimasto scapolo dopo un paio di provvidenziali rifiuti. E, forse, lo considero una benedizione. Per loro, naturalmente”. Ma dell’amore ha scritto: “Com’è importante stare a due, maschio e femmina per questa città. Chi sta solo è meno di uno”. Ha dedicato una poesia a mamma Emilia: “In te sono stato albume, uovo, pesce, le ere sconfinate della terra, ho attraversato nella tua placenta…”.
“Grandezza Naturale” (Feltrinelli), dedicato al padre, appena uscito, è già un evento. Storie estreme di genitori e figli. In alcune come il Sacrificio di Abramo attinge alla ricchezza del testo biblico. Mentre la figlia del vecchio nazista, nel tentativo di mettersi al riparo dal torto del padre carnefice, sceglie di non procreare. Il padre di Erri nacque nel ‘18, quarto figlio, fu concepito prima che il padre venisse richiamato alle armi per la guerra. “Si usava allora, prima di avviarsi, che un marito lasciasse la moglie in gravidanza. Mio padre nacque, ultimo dei figli, da questa premura. Le eredità non provengono da un testamento, non passano per l’ufficio di un notaio”. Invece Erri: “Sono rimasto figlio, il padre di nessuno”.
Perché lasciasti Napoli?
Nell’adolescenza si era accumulata una carica di insofferenze, per la disciplina del sapere liceale, per la famiglia, per il percorso già tracciato, per la città. Di temperamento chiuso e critico, dovevo sgomberare. Abito da qualche decennio in campagna e non tornerei a stabilirmi in nessun centro abitato, neanche un villaggio.
Come giudicheresti il rapporto con tuo padre?
Si aspettava da me l’ avviamento a una professione, a una carriera anche statale, non voleva che facessi il suo mestiere di agente di commercio. Era un lettore da cento libri all’anno, si compiaceva che piacesse anche a me quell’esercizio. Ma all’inizio fu per me la maniera per chiudermi dentro, non socializzare. Mi ha visto scomparire nelle strade piene di cortei e di scontri, comprava e leggeva il quotidiano Lotta Continua per sapere che mi succedeva. Fu così meticoloso da far poi rilegare per annate quel giornale e oggi è una delle due collezioni complete esistenti. Con la Fondazione a me intitolata ne è stata fatta una versione digitale consultabile liberamente. Poi mi ha visto svariare in giro per lavori da operaio. Ho fatto in tempo a mettergli in mano il mio primo libro stampato. Era ormai cieco e morì poco dopo.
Ti manca un figlio?
Un figlio dovrebbe passare attraverso una madre e quella non l’ho incontrata. Non soffro di mancanze. Ho scritto una storia qualche anno fa (Il giro dell’oca) in cui si svolge un dialogo tra un figlio adulto e me stesso. Non è stato indulgente e non ci somigliavamo. Noi siamo stati la generazione che abbiamo disobbedito ai nostri genitori e abbiamo obbedito ai nostri figli….
Come vedi questa generazione deideologizzata?
La intravedo matura, docile, sgomenta dalle scarse prospettive di lavoro, perciò in parte già sconfinata per farsi valere altrove.
Ti sei vaccinato?
Ho prenotato la prima dose.
Secondo te si è trattato solo di un’ epidemia da catastrofe naturale quindi inevitabile (quasi un castigo divino) o si trattato di un virus da laboratorio. O tutte e due le cose?
Da anni le epidemie procedono per salto di specie del virus dall’animale all’uomo. Laboratorio perfetto sono gli allevamenti intensivi, i mercati dove si vendono animali vivi, non serve immaginare un complotto. Il guaio è prodotto dalla nostra pressione sulla vita biologica del pianeta.