Esiste un libro inedito di Osvaldo Soriano, indimenticato scrittore argentino e punto di riferimento per la letteratura sportiva in tutto il mondo. Si trova negli archivi del Manifesto, quotidiano che proprio in questi giorni festeggia 50 anni, ed è composto da tutti gli articoli che ha prodotto negli ’80 e nei ’90. Per il giornale comunista ha scritto di futbol per tre mondiali di fila, dal 1986 fino a quello del 1994. Soriano sarebbe morto nel gennaio del 1997 all’età di 54 anni, senza dunque poter dire la sua sulla Coppa del mondo in Francia dell’anno successivo. Nel 1990 venne in Italia e diventò un inviato del tutto speciale. Seguì il Mondiale da Roma, facendo un blitz a Milano per la partita inaugurale nella quale la sua Argentina venne inaspettatamente sconfitta dal Camerun e un altro a Napoli per la semifinale tra Maradona e gli azzurri. In quei giorni c’è anche la visita al ritiro della Seleccion a Trigoria assieme all’amico Gianni Minà per salutare il capitano argentino. A mezzanotte incrociano anche il commissario tecnico. “Non appena arrivati – scrive Osvaldo Soriano – Carlos Bilardo viene a curiosare ma non domanda nulla. L’allenatore è un uomo timido, fortunatissimo, che ama il suo lavoro e gli piacerebbe farlo bene. Essendo introverso e nemico della demagogia, nemmeno il titolo mondiale del 1986 lo ha reso popolare in Argentina. Quest’anno è arrivato in Italia con una triste troupe di giocatori dispersi nel mondo; nessuno avrebbe scommesso un soldo su questa squadra, e quando ha perso con il Camerun la terra deve essersi aperta sotto i suoi piedi. Invece, con poca cosa, l’Argentina è tra le quattro prime al mondo”.
Due giorni dopo Osvaldo avrebbe scritto delle parate del portiere Goycochea, l’Argentina aveva appena battuto l’Italia in semifinale. L’“idea era di portare in Italia Pumpido come titolare e il povero Goycochea come spettatore. Ora, dopo aver sconfitto la Jugoslavia e l’Italia, rinchiuso nel suo bunker di Trigoria dove si tessono misteriose trame, non correrà la sorte del personaggio del romanzo. Continuerà a lanciare il suo corpo enorme per coprire la porta, ma non si porrà la domanda fatale di sapere se l’altro sa che lui sa, e così via, all’infinito”, conclude l’articolo citando il Peter Handke di La paura del portiere prima del calcio di rigore. Lo scrittore argentino che aveva lasciato la sua patria negli anni della dittatura per poi fare ritorno a metà Ottanta, soggiornava al Residence di Ripetta e andava tutti i giorni alla riunione di redazione. Gli piaceva dialogare, soprattutto di politica e comunismo, con Rossana Rossanda e Luigi Pintor. Poi si metteva a scrivere di calcio. Nella sua lingua madre, il pezzo veniva tradotto subito e messo in pagina.
Alcuni articoli di quei mesi romani sono stati pubblicati in alcune antologie uscite successivamente, altri sono rimasti inediti. La cronaca di Soriano è letteratura. “Ultimo tango a Torino”, “In due sulla Rolls”, “Dio, il Diavolo e Maradona”, “Luna di Miele a Roma”, “L’imprudente sguardo di Pumpido”, “I nuovi dei dell’Olimpo azzurro”, “Finale nella terra del fuoco”, “La Sindrome del Maracana” sono alcuni dei pezzi usciti in quei giorni. Il suo esordio mondiale avvenne nel 1986, non da inviato in Messico. Ma dall’abitazione in cui risiedeva in quel periodo. Nell’articolo di presentazione del torneo il giornalista del Manifesto Giorgio Casadio diede l’Argentina vincente, a differenza di Soriano che invece puntò su altre Nazionali. Ai suoi occhi questo fu un punto in favore per la redazione sportiva del Manifesto che aveva dimostrato molta competenza. Il rapporto tra lo scrittore e i giornalisti fu sempre ottimo e continuò per tutta la vita. Scrisse infatti anche per il Mondiale negli Stati Uniti, quello vinto dal Brasile sull’Italia di Sacchi. Raccogliendo nell’archivio del Manifesto tutti gli articoli scritti per le tre coppe del mondo ne uscirebbe un “Soriano Mondiale”, al momento inedito. Cinquant’anni di storia, il Manifesto nasconde un gioiello della letteratura nei propri scaffali.