Le combattenti furono 35mila, altre 20mila ebbero funzioni di supporto. E poi le migliaia di arrestate, torturate, condannate dai tribunali fascisti. Eppure il contributo delle donne nella battaglia per la libertà è stato a lungo lasciato ai margini del racconto. "Ci chiesero di non sfilare" ha raccontato tempo fa Lidia Menapace. Ilfatto.it ha intervistato 4 di loro: Mirella Alloisio, Francesca Laura Wronowski, Teresa Vergalli e Ida Valbonesi. Storie diverse, spirito comune: "La comunanza di sentimenti fra persone che non si conoscevano, ma che si riconoscevano come appartenenti alla stessa idea di umanità”
“Senza le donne non ci sarebbe stata la Resistenza. Abbiamo rischiato come gli uomini ma allora in tanti ci guardavano male. E il giorno della Liberazione ci chiesero di non sfilare”. Lidia Menapace, nome di battaglia Bruna, partigiana, parlamentare, pacifista, morta nel dicembre scorso a 96 anni, è stata una delle partigiane che hanno partecipato alla guerra di liberazione. E’ stata una delle più note. Ma per troppo tempo le donne della Resistenza sono state relegate nel ruolo di staffetta quasi come se quel compito non fosse rischioso quanto combattere. “Il loro contributo – spiega a ilFattoQuotidiano.it la storica Isabella Insolvibile – è stato disconosciuto. Purtroppo a volte sono stati gli stessi partigiani a non dare il giusto peso a quanto avevano fatto le donne perché la Resistenza avesse successo”. Chi conosce bene la Resistenza, tuttavia, sa che le donne ebbero un ruolo fondamentale: “Intanto – sottolinea Insolvibile – per fare la staffetta serviva un gran coraggio ma dobbiamo ricordare che alcune di loro comandarono le formazioni partigiane; altre si occuparono dei posti di cura e non poche combatterono alla pari degli uomini”. Secondo i calcoli dell’Anpi le partigiane “combattenti” furono 35mila, altre 20mila ebbero funzioni “di supporto”. Tra loro ci furono 16 medaglie d’oro e 17 medaglie d’argento al valor militare, 512 commissarie di guerra. Oltre 4600 furono arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti. Una di loro era Francesca Del Rio, nome di battaglia Mimma, staffetta della 144esima Brigata Garibaldi. I nazisti la sottoposero a indicibili torture, sevizie, mutilazioni nella caserma di Ciano d’Enza (ora nel Comune di Canossa). Eppure non disse mai i nomi dei compagni di battaglia. Riuscì a fuggire in modo rocambolesco e a raggiungere il comando partigiano. Era incinta e, dopo un parto difficile, perse il bambino. E’ morta nel 2008: due giorni fa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella le ha conferito la medaglia d’oro al merito civile come “mirabile esempio di eccezionale coraggio e di straordinario impegno per i valori della libertà e della democrazia”.
Mirella, la prof di francese: “Senza di noi la Resistenza non sarebbe stata possibile”
La voce di Mirella si fa più fioca. Qualche attimo di silenzio e poi riprende con un messaggio a chi vive l’oggi: “Durante la Resistenza abbiamo fondato i gruppi di difesa della donna. Avevamo iniziato a pensare al domani: all’avere gli stessi diritti degli uomini; a poter accedere a tutte le carriere. Nel 2021 non siamo arrivati ancora al punto che desideravamo. Ecco perché credo che ogni donna ma anche ciascun uomo debba credere nel valore della partecipazione”.
Francesca Laura, la nipote di Matteotti: “Fascismo? E’ ovunque ci sono ignoranza e violenza”
A Milano vive Francesca Laura Wronowski, ex partigiana di 97 anni, nipote di Giacomo Matteotti, da mercoledì insignita dell’Ordine al Merito della Repubblica con il grado onorifico di Commendatore. “Come donna, devo ringraziare un’altra donna, mia madre, meravigliosa e combattiva cognata di Giacomo Matteotti. Trascinava alla lotta: mi ha insegnato l’intransigenza e la coerenza, anche a costo dell’emarginazione, come è successo alla mia famiglia durante gli anni del regime fascista. Io sono combattiva per temperamento, ragione per cui la Resistenza in montagna mi è risultata affine. Come donna, ho sempre ricevuto il massimo rispetto da tutti i combattenti di Giustizia e Libertà con i quali ho condiviso la lotta antifascista e antinazista, partecipando su un piano di parità ad azioni militari, come la liberazione dei prigionieri ebrei dal campo di Calvari, nell’entroterra di Chiavari, dove operavamo”.
Kiki, questo era il suo nome di battaglia, ricorda così il suo 25 aprile: “Ero stata inviata, insieme a due uomini della mia Divisione, a Genova, con la missione di prendere possesso di un albergo per farne il nostro quartier generale. Ricordo i pensieri e le preoccupazioni di quel giorno (la città era ancora in mano ai tedeschi) e ricordo, giunti alla periferia industriale della città, un’altra donna, una partigiana jugoslava, che sorridendo entusiasta volle regalarmi a tutti i costi il suo cinturone e una piccola rivoltella a tamburo. Un episodio che mi è sempre rimasto impresso, per la comunanza di sentimenti fra persone che non si conoscevano, ma che si riconoscevano come appartenenti alla stessa idea di umanità”.
Ad accumunare queste donne è la loro lucidità, il desiderio di essere ancora partecipi, presenti nella storia: “Ad una ragazza di 12-13 anni vorrei dire che il fascismo è ancora attuale. Non sul piano politico, ovviamente, ma come forma mentis. Dico spesso a mio figlio, anche se non è più un giovane, che il fascismo si può sintetizzare in due parole: ignoranza e violenza, laddove la seconda è figlia primogenita della prima”.
Kiki ha le idee chiare: “Rivedo l’espressione della mentalità fascista, che fu all’origine dell’assassinio di mio zio Giacomo Matteotti il 10 giugno del 1924, ogniqualvolta ho notizia di un episodio di bullismo, ogni volta che un disabile o un senzatetto vengono aggrediti senza motivo, ogni volta che una donna viene picchiata o uccisa per affermare il proprio dominio. Tutti questi comportamenti esprimono lo stesso nichilismo frutto di ignoranza che dette vita e animò il fascismo nei suoi comportamenti abietti, al di là degli scopi politici che Mussolini ed i suoi si proponevano. Il fascismo è quindi sempre vivo nella società contemporanea, e perciò deve essere altrettanto vivo l’antifascismo”.
Teresa, la maestra di storia: “Il mio pensiero va a Francesca Del Rio, ecco chi era”
Ida, la sarta di Forlì: “Noi abbiamo lottato per un futuro migliore. Ma serve ancora lottare”
Il 25 aprile tutte queste donne lo vivranno come se fosse quello del 1945. Lo si capisce dall’emozione che si intuisce nel parlare con Ida Valbonesi, sarta di Forlì, nome di battaglia Idina: “Ho 97 anni ma ho ancora le idee chiare. Faccio fatica a seguire tutto quello che succede nel mondo ma ai giovani dico: state attenti, guardate il vostro futuro perché è in pericolo. Noi abbiamo lottato per darvi un avvenire migliore. Non è successo. Serve ancora lottare”. Ida ricorda la fratellanza e la vicinanza, l’amore che c’era per la libertà: “La gente ci aiutava perché non voleva più la guerra. Per arrivare al 25 aprile abbiamo trovato la forza per unirci. Oggi dobbiamo ritrovare quello spirito. Abbiamo lottato per avere la libertà ora dobbiamo difenderla fino in fondo”. Storie di vita che affondano le radici in un passato che continua a essere vivo in queste donne. Tutte sanno che ci sarà un giorno in cui non potranno più raccontare, essere presenti in piazza, parlare ai giovani, ma ascoltandole si ha l’impressione che si sentano ancora le ragazze di ieri.
Tutti i video fanno parte del Memoriale della Resistenza, portale dell’Anpi all’indirizzo noipartigiani.it, frutto del lavoro di raccolta di testimonianze di numerosi volontari coordinati da Laura Gnocchi e Gad Lerner. Il Memoriale è raggiungibile a questo indirizzo.