Con lo sport non si mangia. Si lavora, si fatica, magari un po’ si guadagna pure, ma non abbastanza da vivere e costruirci un futuro. È la dura realtà di 200mila, forse addirittura 500mila “invisibili” che mandano avanti questo mondo, ma per anni hanno ricevuto in cambio poco o nulla, sicuramente non tutele, diritti. Ora con la riforma dello sport voluta dall’ex ministro Spadafora e appena licenziata in via definitiva dal nuovo governo Draghi, dal 2022 nascerà la figura del lavoratore sportivo, con una “flat tax” al 15% e contributi obbligatori per tutti. Resta da capire solo se ci saranno anche i soldi per pagarlo.

SPORT E SALUTE: 200MILA PERSONE A MENO DI 10MILA EURO L’ANNO – Tecnici, segretari, arbitri, atleti dilettanti. Il Covid e la terribile crisi economica hanno contribuito per lo meno a far emergere la loro questione: non essendo nemmeno iscritti all’Inps, il governo ha dovuto creare un bonus ad hoc. La società governativa Sport e salute ha distribuito (a pioggia, grande limite del provvedimento adottato) oltre mezzo miliardo di euro di sostegni, realizzando un primo vero censimento della platea: in un report appena pubblicato si parla di 208mila domande completate, di cui il 52% tecnici, 20% atleti dilettanti, 10% collaboratori e 5% arbitri (più altre categorie residuali). Il 94% di questi guadagna meno di 10mila euro l’anno. Secondo dati Inps, aggiungendo quelli che non hanno chiesto o non avevano diritto al bonus, il bacino potenziale sfiorerebbe il mezzo milione di persone.

IL VECCHIO CO.CO.CO SPORTIVO – A parte una fetta minoritaria di dipendenti (che non supera il 10%) e un esercito di volontari che lo fanno per passione, questi lavoratori fino ad oggi venivano pagati o a rimborso spese (uno “stipendio” mascherato) oppure con un contratto di collaborazione che però vale meno di un Co.Co.Co., una semplice lettera d’incarico. In un caso o nell’altro, niente tutele assicurative né contributi previdenziali, nemmeno trattenute, visto che la legge permetteva di percepire fino a 10mila euro completamente esentasse (in precedenza la soglia era 7.500, fu alzata dall’ex ministro Lotti). Il mondo dello sport si è sempre retto su questo compromesso, che però era anche un equivoco: niente tasse ma neppure diritti, pochi soldi e tutti subito. Quello che però doveva essere un hobby o un secondo lavoro diventava spesso l’attività principale. Agli sportivi, oltre a qualche spicciolo, restava in mano poco o nulla per il futuro.

LA RIFORMA SPADAFORA: NASCE IL CONTRATTO DI LAVORO SPORTIVO – Adesso si cambia, superando la vecchia distinzione fra professionismo e dilettantismo. La riforma si può riassumere così: a rimborso spese restano solo gli amatori veri, che dovranno avere una forte connotazione volontaristica; chi invece con lo sport lavora, fino a 10mila euro di stipendio resta esentasse ma con un 10% di contributi previdenziali; oltre i 10mila euro scatta anche il pagamento dell’Irpef, che per tutti i contratti avrà un’aliquota fissa del 15%. Una vera e propria flat tax sportiva. Qualcuno, pochi saranno assunti, la maggior parte resteranno precari ma avranno almeno un’assicurazione e saranno iscritti all’Inps (al Fondo professionisti o alla gestione separata). In ogni caso, sarà un passo avanti.

TROPPI ONERI, POCHI SOLDI: I DUBBI DEL SISTEMA – Il governo giallorosa ha deciso di intervenire sulla materia nella maniera più semplice, forse più semplicistica: introducendo tutele obbligatorie per tutti. Solo che le tutele costano. Ed è proprio questo il punto: chi pagherà per questa riforma? Quello dello sport è un mondo complesso, che conosce tante zone di grigio (a volte proprio di “nero”, inteso come totale deregulation), ma che certo non naviga nell’oro. Eccezion fatta per le società professionistiche e i grandi centri di fitness o nuoto, la base è fatta di piccole associazioni che andavano avanti grazie alla passione di atleti, tecnici e dirigenti, e l’assenza di troppi oneri (e controlli). In media, un contratto che prima costava 10mila euro (sono la maggior parte), ne costerà 11mila. Uno da 20mila, circa 3.500 euro in più. In un momento in cui tutto il settore è stato travolto dalla pandemia, e migliaia di associazioni già rischiano di non riaprire, si aggiungono ulteriori oneri.

Non è un caso che la riforma sia stata accolta con aperta ostilità dal Coni in giù e tiepido favore persino dai lavoratori, che dovrebbero essere i principali beneficiari, ma temono di rimetterci. Le insidie sono dietro l’angolo. C’è il rischio che questa categoria, invece che emergere , sprofondi in quella delle “prestazioni amatoriali”, che non farà altro che sostituire l’attuale fascia esentasse. Oppure che i titolari scarichino questi costi in più proprio sui lavoratori.

UTILI IN CAMBIO DI TUTELE: BASTERÀ PER I LAVORATORI? – Per evitarlo, il governo ha stanziato dei contributi, 100 milioni di euro, 50 per due anni, che dovranno accompagnare la transizione sotto forma di esenzioni fiscali (presto arriveranno le circolari). In fase di approvazione dei decreti, ne è stata disposta l’entrata in vigore soltanto da luglio 2022. La revisione dei contratti dei lavoratori si accompagna a due ulteriori novità per associazioni e società: le Asd iscritte al Registro Coni potranno ottenere automaticamente la personalità giuridica di diritto privato, e, soprattutto, avranno la possibilità di destinare una quota inferiore del 50% alla distribuzione degli utili ai soci. Guadagni in cambio di tutele: è una specie di baratto, che farà felici sicuramente i pesci più grossi ma chissà se potrà interessare anche le piccole associazioni. Anche perché, senza controlli veri (e fin qui sullo sport se ne sono fatti pochissimi), su una tassazione che resta comunque irrisoria e dei contributi minimi, il pericolo è che si continuino a non pagare i lavoratori mentre si staccano dividendi.

L’intento comunque è chiaro: responsabilizzare, in qualche maniera anche “imprenditorializzare”, il mondo dell’associazionismo sportivo. Basta tessere scritte su pezzi di carta, quote pagate in contanti, iscritti fantasma. Chi si apre una Asd dovrà essere in regola, fare contratti a tecnici, atleti e collaboratori, con un minimo di tasse e contributi. Magari ce ne saranno di meno, ma più sane e più utili per il movimento. È una piccola rivoluzione. Se quella di cui aveva bisogno lo sport italiano, lo dirà il tempo.

Twitter: @lVendemiale

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