Secondo Sam Millar, ex militante dell’Ira e scrittore nordirlandese di successo, le proteste scatenate in queste settimane in Irlanda del Nord hanno messo a nudo la rabbia dei lealisti, che "stanno smarrendo il potere settario". E "stanno imparando, a proprie spese, come il governo britannico abbia mentito loro sulla Brexit"
Nel Regno Unito e nelle terre del Commonwealth, la morte di un membro della famiglia reale è un evento molto sentito. Quando, il 9 aprile scorso, Buckingham Palace ha annunciato la scomparsa del Principe Filippo di Edimburgo, le ostilità in Irlanda del Nord hanno subìto uno stop, come per magia. Noblesse oblige. Per dieci giorni di seguito, dalla morte al funerale del consorte della Regina Elisabetta II, nell’Ulster le tensioni si sono ‘congelate’ per poi riesplodere dopo il lutto in casa Windsor.
All’inizio del mese i primi scontri tra manifestanti unionisti fedeli alla Gran Bretagna e la polizia avevano riacceso i riflettori su un conflitto settario che gli Accordi del Venerdì Santo del 1998 non hanno mai spento. Gruppi di giovani, addirittura ragazzini, hanno iniziato a bruciare pneumatici, mobili e masserizie lungo le strade per poi passare a bersagli più grandi.
Dalla contea di Antrim a Derry, ma è stata la linea di demarcazione tra l’area protestante e cattolica di Belfast quella dove le dimostrazioni hanno assunto un peso ed un valore maggiori. Nella serata del 7 aprile un autobus urbano è stato letteralmente dirottato da alcuni giovani lealisti, portato all’incrocio tra Shankill road e Lanark way, la strada di collegamento con l’area repubblicano-nazionalista attraverso il Muro della Pace, e dato alle fiamme. Le tensioni al confine fisico e identitario della Peace Line della capitale sono aumentate e la polizia nordirlandese, la Psni (Police service of Northern Ireland) è dovuta intervenire su ambo i lati della barricata.
Le provocazioni delle frange lealiste hanno infatti coinvolto il fronte rivale col rischio di innescare una lotta senza quartiere. La Psni ha utilizzato i cannoni ad acqua per disperdere i violenti, mentre la parte repubblicana ha denunciato l’utilizzo di proiettili di gomma da parte della polizia contro i manifestanti. Un ritorno al passato e all’orrore dei rubber bullets, responsabili di 17 morti, più della metà bambini e adolescenti.
Un passato che Sam Millar, nato a Belfast nel 1955 da una famiglia cattolica ma con un ramo orangista, ex militante dell’Ira e scrittore nordirlandese di successo, conosce molto bene. Millar le conseguenze dei troubles le ha vissute sulla sua pelle durante la Blanket Protest, la protesta degli asciugamani, all’interno del carcere di Long Kesh (a Lisburn, pochi chilometri a sud di Belfast) una delle forme di opposizione l’interno delle carceri dell’Ulster messe in atto dai detenuti del Provisional Ira (Irish Republican Army) contro le autorità filo-britanniche. Un uomo dalle mille vite costellate di arresti, in Irlanda del Nord e negli Stati Uniti, il primo nel 1973, ad appena 18 anni. Al suo attivo ci sono 9 romanzi, uno dei quali, On the brinks, continua ad essere ristampato e presentato dallo stesso autore in giro per il mondo, Italia compresa. In uscita anche un film, ‘To my life’ legato a On the brinks, diretto da Mel Gibson.
Millar, è sorpreso dagli ultimi fatti violenti in Irlanda del Nord?
“Le cosiddette ‘rivolte’ sono state organizzate da teppisti lealisti che cercano di fare pressione sul governo britannico per pompare milioni di sterline nelle loro casse. È il solito, vecchio trucco dei lealisti, vediamo se le istituzioni ci cascheranno di nuovo”.
Quanto influisce il tema della Brexit?
“I lealisti britannici hanno optato per la Brexit perché non volevano più far parte dell’Europa. I leader unionisti del Dup (Democratic Unionist Party, il principale partito filo-britannico dell’Ulster, ndr.) hanno appoggiato quel percorso e firmato il Protocollo dell’Irlanda del Nord, entrato in vigore il 1° gennaio 2021, ma adesso, visti gli effetti diretti sulla popolazione, se ne stanno pentendo. I loro sostenitori pensano di essere stati ingannati; il Dup teme di perdere il sostegno degli estremisti lealisti e sta facendo marcia indietro su quell’accordo, suscitando tensioni settarie e sperando che Londra e Bruxelles si arrendano a questo ricatto”.
Pensa ci sia dell’altro dietro i disordini?
“Oggi è la Brexit, domani si inventeranno altro per giustificare una reazione. I lealisti stanno smarrendo il potere settario e sono molto arrabbiati. Dovrebbero capire che un’Irlanda unita sta arrivando e, come successo coi bianchi in Sudafrica, porre fine alle violenze e iniziare a vivere in pace. Invece che fanno? Attaccano deliberatamente le aree cattolico-nazionaliste di Belfast sperando che la loro violenza venga ricompensata dal governo britannico”.
Chi ci perde e chi ci guadagna con la Brexit in Irlanda del Nord?
“Perdiamo tutti, soprattutto chi è stato abbastanza folle da crederci. Gli unionisti stanno imparando, a proprie spese, come il governo britannico abbia mentito loro sulla Brexit. Invece del sogno promesso ora è un vero incubo”.
Sulla tempistica delle manifestazioni, oltre alla Brexit c’è dell’altro?
“Gli unionisti, dopo la firma dell’accordo del Venerdì Santo, hanno incassato. Ora pensano che tra loro e i nazionalisti ci sia troppa ‘uguaglianza’, chiedono la fine degli Accordi di Pasqua e tornare ai loro ‘giorni di gloria’ fatti di settarismo, quando potevano trattarci come cittadini di seconda classe. Ma non accadrà, quei giorni bui sono finiti per sempre”.
Crede che gli accordi del Venerdì Santo possano essere spazzati via?
“Lo chiami piuttosto ‘La resa del venerdì cattivo’, ma non accadrà nulla del genere. Non ascolti chi dice il contrario”.
Chi sono i responsabili di questa escalation?
“Arlene Foster (leader del DUP, ndr.) e i politici unionisti che incitano i delinquenti. Non c’è nulla di politico in questo, ma i media ci vogliono credere. Dopo i primi giorni di rivolte contro la loro stessa polizia, i lealisti hanno iniziato a lanciare bombe molotov nelle aree cattoliche per farle sembrare rivolte settarie. È un vecchio trucco. Per fortuna i cattolici, per la maggior parte, hanno ignorato le provocazioni”.
Trova somiglianze tra la violenza di oggi e il passato?
“No, sono soltanto una manciata di teppisti senza ideali”.
Pensa che la protesta durerà a lungo e porterà a qualcosa di più difficile da arginare?
“Credo e spero svanisca tutto in poche settimane, ma l’estate sta arrivando ed è sempre un momento molto caldo da queste parti”.
Cosa intende?
“Le marce lungo la città e i falò dei gruppi legati all’Orange Order, il 12 luglio, sono momenti di alta tensione e sospetto che i lealisti faranno pressione su Downing street”.
A Belfast, in strada, ci sono soprattutto ragazzini, cosa ne pensa, chi c’è dietro?
“Nelle lotte settarie di un tempo era la prassi. Ora sono atti vergognosi, usano le nuove generazioni per stuzzicarci. Ai giovani nazionalisti dico di non farsi coinvolgere. I giorni della violenza politica sono finiti perché non abbiamo nulla da guadagnare da queste rivolte”.
È convinto che un’Irlanda unificata, fuori dal controllo britannico sia la soluzione?
“Sono irlandese e ovviamente voglio che gli inglesi escano dal mio paese. L’hanno preso con la forza più di 800 anni fa. L’Irlanda unita sta arrivando e ciò accadrà velocemente”.
Quale ruolo stanno giocando nel caos di questo mese nell’Ulster i gruppi paramilitari lealisti, Uda, Uvf da una parte, e la New Ira e il movimento politico di estrema sinistra Saoradh (Liberazione) dall’altra?
“Quei gruppi non hanno più leader autentici, nessuno rappresenta la classe operaia. Per quanto riguarda la galassia nazionalista penso che usare la forza non sia più la strada giusta, ma non condannerò mai un uomo o una donna irlandesi che decidesse di farlo”.
Lei, da sempre, non è mai stato tenero con lo Sinn Fein, perché?
“Somiglia sempre di più ad un partito unionista e filobritannico. Ha venduto tutto ciò per cui gli irlandesi hanno combattuto e oggi sono morti dentro. I membri dello Sinn Fein mi odiano perché dico la verità, ma non mi lascerò intimidire da loro”.
Cosa chiede la gente dell’Irlanda del Nord? Difendere la propria eredità fatta di violenza e diritti negati o passare oltre per sempre?
“Le posso dire cosa vorrei io: che i britannici se ne andassero e l’Irlanda fosse unita”.
Pensa che verrà mai fatta giustizia per Ballymurphy, Bloody Sunday, McGurk’s e gli altri crimini commessi durante i troubles?
“Ci sono crimini e crimini. Nessun soldato o poliziotto britannico ha passato un giorno in prigione per tutti gli omicidi di cattolici commessi. I repubblicani come me, al contrario, hanno collettivamente trascorso migliaia di anni nelle prigioni politiche britanniche. Questa è giustizia secondo lei? No, non credo che gli inglesi pagheranno mai per i massacri commessi”.
Lei è sempre stato molto attivo sui social, cosa le è successo di recente?
“Facebook mi ha bannato per 30 giorni perché ho preso in giro Gerry Adams (leader storico dello Sinn Fein, artefice degli Accordi del 1998 assieme a Martin McGuinness, ndr.). Non ho parole, immagini di essere oscurato per una barzelletta. Sono costantemente censurato nel mio paese, e ho subito svariate minacce, ci sono abituato ormai”
Quali sono i suoi programmi artistici futuri?
“La scrittura è diventata la mia vita, ho già pubblicato nove libri, lavorato ad opere teatrali e così via. Se tutto va bene il film ‘To my life’, soggetto legato a On The Brinks, e diretto da Mel Gibson, uscirà presto”.
Lei ha un rapporto speciale con l’Italia, è così?
“Verrei nel vostro Paese ogni giorno, non vedo l’ora di tornarci. Adoro l’Italia, le persone, tutte sempre molto gentili con me. La vostra accoglienza non ha pari, è fortunato ad esserci nato e a viverci”.
Quale idea si è fatto dello scenario politico italiano?
“Preferisco non commentare la politica italiana perché non sono affari miei e non voglio offendere nessuno dei miei amici italiani, a partire dal mio editore”.
Il prossimo 5 maggio verrà celebrato il 40° anniversario della morte di Bobby Sands. Lei ha fatto parte della Blanket Protest, i suoi sentimenti e la sua rilettura della storia sono cambiati?
“Ho passato tanti anni nelle prigioni britanniche e durante quella protesta ho subìto torture e violenze. On the Brinks, che racconta quel periodo, è stato pubblicato più di vent’anni fa, ma le persone in tutto il mondo continuano a leggerlo: per me la storia non cambia. Sono la stessa persona che ero allora e adesso spero che il film di Mel Gibson mostri il vero Sam Millar”.