“Amo l’Italia perché amo le mie origini, ma è sufficiente come motivazione per superare la consapevolezza che il mio Paese, ad oggi, non mi sta offrendo nulla?”. Sara Porzilli, fiorentina, ha 34 anni, due figli, un dottorato di ricerca in architettura e ha trascorso gli ultimi tre anni in Finlandia. Tornata in Italia, ha visto gli altri “scavalcarla”. E non esclude di ripartire, in futuro, con il marito e i suoi piccoli. “Non voglio più scendere a compromessi”, racconta.
Sara ha iniziato a viaggiare per fare ricerca già dal quarto anno all’università. Nel 2009 si ritrova sull’Isola di Kizhi, in Russia, a lavorare sul Complesso architettonico della Pogost, per documentare, studiare e rilevare con tecniche sofisticate villaggi e architetture lignee. Tra le altre spedizioni quella in Israele, per la fortezza di Masada, e in Palestina, all’interno del cantiere di restauro e consolidamento della Chiesa della Natività.
Quando, dopo la laurea e l’abilitazione, Sara è diventata Dottore di Ricerca Europeo in Architettura, ha avuto due strade davanti: offerta di post dottorato per tre anni in Cina, nella celebre Sjtu-Jiao Tong di Shangai, o periodo di prova di tre mesi nella “sconosciuta” University of Oulu in Finlandia. “Per i più la scelta era scontata, ma dopo un paio di viaggi nella meta ambita cinese, ho capito che quello non era il mio posto”, ricorda.
Il 27 agosto 2015, così, Sara parte per Oulu, nord della Finlandia, decisamente più vicina al Circolo Polare che alla capitale Helsinki. “Dal 2015 sino al 2019 ho vissuto in questo meraviglioso Paese nordico”. Nel 2017 vince la prestigiosa borsa di studio europea Marie Curie. “Quando mi hanno offerto il posto in Finlandia ho ringraziato la mia professoressa. Lei mi ha risposto che era solo in linea con gli stipendi europei. Io venivo da un dottorato senza borsa, viaggi pagati di tasca propria, conferenze a mie spese”.
In Finlandia Sara ha trovato tanta meritocrazia: è un Paese, dice, “che punta totalmente sui giovani e sulla loro formazione”. Certo, il costo della vita è alto, un espresso al bar arriva a 3 euro, la vita è complessivamente 3-4 volte più cara rispetto all’Italia e a gennaio e febbraio è complicato lavorare, con i cellulari sotto lo zero che si bloccano e molte attività che sono ferme. “Un dottorato in Italia è sui mille, massimo 1.400 euro al mese. In Finlandia mi hanno offerto il doppio. Ed era il punto di partenza”.
La vita qui è più distesa “anche per il numero ridotto di abitanti. Ovunque, dall’autobus al lavoro, non percepisci né vivi quello sgomitare costante che invece ti travolge ogni volta in Italia – spiega Sara –. Senti che per te, in qualsiasi contesto, c’è un posto”. Lavorare in Finlandia ha fatto respirare ossigeno puro: “Il clima è sempre molto positivo, propositivo, percepisci sempre che dai valore al contesto nel quale ti trovi, senti che servi, che la tua opinione è importante, che ha senso”. Quando già verso le 16.30 molti sono i colleghi che iniziano a chiudere i computer, ecco, in quell’esatto frangente, “l’italiano all’estero scopre che nella giornata, se riesci ad organizzarti bene, puoi far rientrare anche altre attività. Lo sport, il tè nella caffetteria con amici, la birra al pub”, sorride Sara.
I finlandesi, poi “sono persone che variano e accettano di finire un lavoro e iniziarne un altro. Non cercano disperatamente il posto a tempo indeterminato. Sanno che nel mondo c’è sempre un posto per loro. In Italia ho sempre lavorato tanto, senza orari, dalla mattina alla sera”.
Quando Sara rientra a Firenze, nel 2019, con il suo primo figlio in arrivo, sente che la situazione è cambiata. “Posti da ricercatore non ce ne sono, mi dicono. Progetti sui quali lavorare neanche. Non porto rancori, sono una donna soddisfatta, ma mi rendo conto che tornare dopo una borsa Marie Curie non mi ha aperto spazi, anzi”.
In Italia il problema nasce da quello “sgomitare generale”: i lavori “ci sono ma in tanti svendono la propria offerta, tutto viene gestito da poche persone sovraccaricate, e dovrai sempre ringraziare il prof con atteggiamento reverente”. Per Sara invece i giovani “devono difendere i propri diritti e il proprio valore, in un Paese dove non ti rendono merito e portano rispetto”.
Dai finlandesi Sara ha imparato che “non ci si può sfinire nel lavoro e nell’ambizione del lavoro”. Non ha l’ansia del futuro. Sa che “a Firenze non c’è nulla” per lei. Per ora si sta preparando ai concorsi da insegnante. Con suo marito e i due piccoli, guarda all’opportunità di tornare in Finlandia, “la nostra seconda casa”. No, non è disposta ad accettare compromessi pur di rimanere. E finché ci saranno dottorandi e studenti che “faranno cose a gratis – conclude –, la situazione non potrà migliorare”.