Devo ammetterlo: quando stava per formarsi la giunta Appendino, a Torino, fui chiamato ad inviare un curriculum che sarebbe stato vagliato al fine di – eventualmente – essere nominato Assessore. Declinai gentilmente l’invito, ritenendomi non all’altezza per ricoprire un tale ruolo, ma soprattutto perché ritenevo che una volta che gestisci il potere puoi tranquillamente mettere in naftalina le tue convinzioni per scendere ogni giorno a compromessi e sempre più al ribasso.

Fatta questa premessa, e nonostante ciò, ricordo bene che invitai la nuova Amministrazione a prendersi a cuore alcune problematiche riguardanti la città. In particolare ricordo che suggerii caldamente il recupero del motovelodromo Fausto Coppi, di proprietà appunto comunale, abbandonato ed inagibile da decenni. Il motovelodromo è attualmente la struttura sportiva più vecchia fra quelle ancora esistenti in Piemonte (fu inaugurato il 24 luglio 1920) ed è anche l’unica architettura sportiva superstite dei primi trent’anni del Novecento, tant’è che ha un vincolo della Soprintendenza.

Leggo su Wikipedia che le città dotate di un velodromo in Italia si contano sulle dita delle due mani. In particolare, a parte Torino, solo Roma ne ha uno attivo. Quello di Milano (il Maspes-Vigorelli) non è utilizzato per il suo scopo. Mi feci promotore di questo progetto, convinto sia della necessità di salvaguardare un bene comune di enorme importanza storica, sia del fatto che la disciplina ciclistica tira sempre di più e, nonostante la carenza di impianti, esprime chissà come anche campioni di livello internazionale, come Elia Viviani e Filippo Ganna. Insomma, io mi immaginavo – nella mia ingenuità – una riapertura dell’impianto, magari con copertura – e squadre di ragazzini che venivano avviati alla bicicletta, e tra l’altro in completa sicurezza.

La mia richiesta ricevette una assicurazione importante all’interno della giunta. Poi non ne seppi più nulla. Fino a che – con nessuna sorpresa – ho appreso che il febbraio scorso una ditta, tale Padel M2, ha vinto il bando per una concessione di 60 anni, staccando un assegno da 350mila euro (neanche sei mila euro all’anno!). Quindi, non solo la mia flebile voce non è stata ascoltata, ma un altro pezzo della storia di Torino finisce in mano a privati. E senza neppure un vincolo di utilizzo per lo scopo per il quale il motovelodromo nacque. Infatti, leggo che ci verranno realizzati sei campi da padel, un campo da calcio a 8 convertibile in una struttura da rugby, campi da beach volley, piscine, piste da bici (ma guarda un po’…), campi di atletica, bar, punti ristoro e spazi espositivi.

Lasciatemelo dire: io trovo questa soluzione per il motovelodromo sconcertante, ad essere benevoli. La città aveva un bene unico, dal valore inestimabile, che poteva valutare di rimodernare e ripristinare – magari in partnership con un privato – mantenendone la finalità originaria. E invece no, lo mette all’asta solo per ricavare vil denaro, e non solo, consentendone il completo snaturamento. Complimenti!

E dire che – ironia della sorte – la municipalità ha addirittura adottato un Regolamento per il governo dei beni comuni urbani e sponsorizzato un Manuale di diritto dei beni comuni urbani. Il tutto nell’ottica, ovviamente, di una loro salvaguardia per il bene della collettività. Voi mi direte: è il solito discorso della differenza tra il dire e il fare. Che trova massima esemplificazione in politica. Con qualsiasi formazione politica. Anzi, direi che la maggior delusione viene proprio dai 5 Stelle.

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