Trenta arresti e 25 perquisizioni contro la mafia nigeriana. Un maxi-blitz della polizia de L’Aquila ha smantellato una cellula dell’organizzazione Black Axe e ha interessato 14 province italiane. I soggetti intercettati dalle forze dell’ordine sono indagati, a vario titolo, per associazione a delinquere di stampo mafioso, finalizzata al compimento di numerosi reati tra cui traffico di stupefacenti, immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione, truffe romantiche, truffe informatiche e riciclaggio anche attraverso la compravendita di bitcoin, per un totale di quasi 100 capi di imputazione. Le operazioni hanno interessato anche le Squadre Mobili di Roma, Rieti, Bari, Caserta, Napoli, Reggio Emilia, Parma, Modena, Catania, Genova, Messina, Potenza e Terni
Sono scattati gli arresti anche per il presunto capo in Italia dell’organizzazione, un 35enne nigeriano, che secondo la polizia dirigeva, dalla città di L’Aquila, tutte le attività criminali del sodalizio. In particolare, è stata ricostruita l’intera struttura dell’organizzazione criminale, individuandone i vertici nazionali e i componenti delle articolazioni periferiche presenti in diverse città italiane. Gli indagati si sono resi autori di numerosi reati, in prevalenza rientranti nel cybercrime, realizzando così grandi guadagni: le evidenze investigative hanno delineato una struttura, operante anche a livello transnazionale, dedita alla commissione dei delitti con compiti svolti in modo modulare da ciascun appartenente.
Una particolare forma di truffa informatica consisteva nell’acquisto di bitcoin con i quali venivano poi reperiti, nel mercato del darknet, i numeri delle carte di credito clonate che venivano a loro volta utilizzate per comprare sui siti e-commerce numerosi beni e servizi, quali cellulari, televisori, computer, abbigliamento e scarpe di marca e biglietti aerei. L’attività investigativa e gli accertamenti patrimoniali hanno permesso di confermare – ad avviso degli inquirenti – solidi elementi di responsabilità nei confronti degli appartenenti al gruppo criminale mafioso, dotato di cospicue disponibilità di denaro e diffuso in vari paesi europei ed extraeuropei.
Il denaro veniva reinvestito in un vero e proprio reticolo di transazioni finanziarie che rendevano più difficile la tracciabilità del denaro, nel tentativo di dissimulare l’origine illecita dei fondi. Nonostante il tentativo di adottare un basso profilo da parte del capo del gruppo criminale ”Zonal Head Italia”, le indagini hanno messo in luce la presenza di un’organizzazione gerarchica, caratterizzata da aggressività e violenza, dotata di rigide regole di condotta che ne disciplinano l’accesso e dalle quali discendono, per gli appartenenti, precisi obblighi necessari per il rafforzamento della consorteria e del vincolo associativo. Durante l’inchiesta è emerso anche l’utilizzo di determinate terminologie, simbologie e gestualità, riti di affiliazione, collegamenti con la casa madre nigeriana e con le altre zone. Inoltre, il gruppo criminale effettuava anche delle raccolte di denaro in favore dei sodali arrestati con la presenza di una cassa comune con la tenuta di un libro mastro.