Cinema

Oscar 2021, è stata una Notte bizzarra e, diciamolo, decisamente non memorabile

Quel che conta è la militanza. Che insieme a “politically correct”, a “inclusione” e a “resilienza” può dirsi la vera protagonista degli Oscar 2021

di Anna Maria Pasetti

Registe cinesi, attrici coreane, attori e sceneggiatori britannici, ma anche polpi innamorati e talenti danesi. E naturalmente tanti Blacks, vuoi African-American o African-British: quel che conta è la militanza. Che insieme a “politically correct”, a “inclusione” e a “resilienza” può dirsi la vera protagonista degli Oscar 2021.

Militanza pulsava feroce nel cuore della maggioranza dei film candidati, era attesa, prevista, fortemente voluta nell’edizione naturalmente e forse doverosamente inchinata al #blacklivesmatter ma anche – e per il secondo anno – segnata dalla pandemia. Più un salotto da Golden Globe che un vero teatro, infatti, è stato il proscenio di questi Academy Awards: “bolle” di talents ai tavolini che si applaudivano alternati a collegamenti da ogni parte del mondo con altri candidati in abiti da sera sugli sfondi iconici delle rispettive città. Molto Hollywood, molto “luogo comune”. Ma ci sta.

Che abbia vinto Nomadland, il film super-militante sull’essenzialità, che ribadisce la differenza tra “homeless” e “houseless, e già trionfatore alla Mostra veneziana, non è una notizia, lo è magari che il cerimoniale abbia deciso di annunciarne il trionfo da Miglior Film prima dei premi agli attori protagonisti (“la lobby degli attori sempre più forte a Hollywood” ricordava giustamente Gianni Canova alla diretta Sky) e sono stati loro, forse, l’unica vera sorpresa della serata, sovvertendo le attese e portando i vincitori – Frances McDormand e Anthony Hopkins – oltre il mito ove già risiedono. Perché la militantissima leading actress e produttrice di Nomadland è al suo terzo Oscar da protagonista, mentre Sir Anthony (straordinario per The Father) al suo secondo.

Tornate in sala, vedete i nostri film sul grande schermo ha urlato la signora Coen, e si sa che la sua voce è ascoltata da tutti, perché ha il pregio del poco ma saggio. E se è vero che il cinema va visto sul big screen e condiviso nelle sale, è altrettanto vero che il film più cinematografico qui candidato – Mank di David Fincher – sia passato pressoché inosservato (vincitore solo per fotografia e scenografia) da questa bizzarra (e diciamolo, non memorabile) edizione degli Oscar.

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