Approfondito quanto basta per ottemperare alle richieste dell’Unione europea, sufficientemente generico per non irritare le diverse anime della (larghissima) maggioranza di governo. In materia di giustizia il Recovery plan targato Mario Draghi sceglie di non decidere, almeno sui punti più delicati delle riforme che dovranno essere approvate nei prossimi mesi. La versione finale del testo, licenziato sabato notte in Consiglio dei ministri, fa proprie gran parte delle misure elaborate dall’ex ministro Alfonso Bonafede e inserite nel Piano precedente, dall’accelerazione dei processi all’abbattimento degli arretrati grazie a oltre 20mila nuove assunzioni, ma annacqua una serie di provvedimenti considerati centrali dal governo Conte. Dalla riforma del Consiglio superiore della magistratura sparisce il tema delle porte girevoli tra consiglieri ed ex membri del governo o del Parlamento, su cui però lo stesso Csm ha già dato parere favorevole; in materia di prescrizione si parla di adottare “eventuali iniziative” da inserire in una cornice “razionalizzata e più efficiente” dei processi; sul secondo grado di giudizio – il più problematico in termini di durata – non c’è più la proposta di istituire un “giudice monocratico d’appello” per snellire le procedure.
Il risultato è uno schema di riforme che sposta solo un po’ più in là la discussione politica: la road map chiesta da Bruxelles è infatti serratissima. Il primo scoglio che la ministra della Giustizia Marta Cartabia dovrà superare è la revisione dell’ordinamento giudiziario, in cui rientra anche la riorganizzazione del Csm. Il governo, come si legge nel Pnrr, ha “richiesto la trattazione prioritaria che ne comporterà la calendarizzazione per l’esame dell’Aula entro giugno 2021“. Ma il vero banco di prova sarà a settembre, quando è prevista l’approvazione delle leggi delega sulla riforma del processo penale, del processo civile e dei procedimenti speciali (nel giro di un anno arriveranno i decreti attuativi, mentre per la giustizia tributaria si dovrà aspettare il 2022). Un vero e proprio autunno caldo in cui Lega, Forza Italia, Pd, Leu e Movimento 5 stelle saranno costretti a trovare un accordo sulla revisione dell’intero sistema giudiziario italiano. Non è un caso che nelle scorse ore la stessa guardasigilli abbia fatto un appello all’unità, ricordando in un’intervista a La Stampa che se questa missione dovesse fallire “l’Italia non avrà i fondi europei“. Non solo i circa 3 miliardi stanziati per la giustizia, ma l’intero pacchetto da 191 miliardi in arrivo dall’Ue per risollevare il Paese dopo la pandemia.
“Velocizzare i processi per favorire lo sviluppo economico” – L’obiettivo principale delle riforme sulla giustizia tratteggiate nel Recovery plan è quello di accelerare i processi, favorire la “repressione della corruzione” e aumentare “l’efficienza” del sistema, come indicato nelle Country Specific Recommendations indirizzate dall’Europa all’Italia negli anni 2019 e 2020. Si tratta di condizioni “indispensabili” per lo “sviluppo economico“, spiega il governo, perché una “giustizia rapida e di qualità stimola la concorrenza“, accrescendo la disponibilità del credito, promuovendo le imprese più giovani, accelerando l’uscita dal mercato delle “realtà non più produttive”. Si stima infatti che una riduzione della durata dei procedimenti civili del 50 per cento possa “accrescere la dimensione media delle imprese manifatturiere italiane di circa il 10 per cento”. Alcuni passi avanti sono già stati fatti, soprattutto in materia di lotta alla criminalità organizzata e “legislazione anticorruzione”, ma c’è ancora tanto da fare.
A partire da un piano assunzioni che permetta di attaccare “l’enorme mole di arretrato che pesa sugli uffici giudiziari”. Il Pnrr punta innanzitutto a creare in pianta stabile in ogni procura l’Ufficio del processo, cioè un team composto da personale qualificato da affiancare ai magistrati per potenziarne il lavoro. Si parla di assumere a tempo determinato entro fine 2021 16.500 laureati in legge, economia e scienze politiche, a cui andranno aggiunti oltre 5mila laureati e diplomati in qualità di staff tecnico e amministrativo. Una sezione a parte è dedicata alla corruzione, da combattere anche attraverso una serie di semplificazioni normative che non impongano “oneri e adempimenti troppo pesanti” alla Pa. Sempre qui in una precedente bozza del documento veniva menzionata la necessità di ridurre, in campo sanitario, “i poteri discrezionali eccessivamente ampi nella nomina dei dirigenti ospedalieri“. Poi il passaggio è stato spostato altrove. Il cuore del Pnrr è però il programma di riforme che, se completato, potrebbe garantire all’Italia entro 5 anni un +0,5 per cento di produttività.
Il processo penale e il nodo prescrizione – Il processo penale è il nodo più delicato di tutto il Recovery, quello su cui le ambizioni del governo Draghi rischiano di schiantarsi a causa delle distanze tra le forze di maggioranza. E non è un caso che sia il capitolo più vago a livello di contenuti. Come base di partenza si citano genericamente i “disegni di legge” già presentati in Parlamento, con diversi obiettivi: il primo è semplificare il sistema degli atti processuali, creando uno “strumento telematico per il deposito di atti e documenti”. Vanno poi ridotti i tempi della fase di indagine e di udienza preliminare. Il Pnrr Draghi prevede “la rimodulazione dei termini di durata e della scansione termini, il controllo giurisdizionale sulla data di iscrizione della notizia di reato e l’adozione di misure per promuovere organizzazione, trasparenza e responsabilizzazione dei soggetti coinvolti nell’attività di indagine”. La versione targata Conte del Piano, invece, scendeva più nei dettagli, ipotizzando ad esempio l’obbligo per il pm di “depositare gli atti delle indagini al decorso dei termini massimi di durata, con l’ulteriore obbligo di presentare richiesta di archiviazione o esercitare l’azione penale entro il termine di trenta giorni dalla presentazione della relativa richiesta da parte del difensore dell’indagato o della persona offesa”. Il nuovo testo punta anche ad ampliare il ricorso ai riti alternativi, “incentivando i benefici ad essi connessi”, garantire più scorrevolezza nel “dibattimento di primo grado”, ridurre i procedimenti intervenendo “sulla procedibilità dei reati” e consentendo di “estinguere talune tipologie di reato mediante condotte riparatorie a tutela delle vittime”.
L’ultimo punto riguarda il processo d’appello, considerato una “fase particolarmente critica, specie per la prescrizione del reato”. La parola d’ordine è ridurre i tempi, ad esempio prevedendo “l’ammissibilità dell’appello solo se il difensore è munito di specifico mandato a impugnare”. Tuttavia sparisce – almeno sulla carta – l’idea dell’ex guardasigilli M5s di introdurre il “giudice monocratico d’appello“, con competenza a giudicare “sulle sentenze di primo grado pronunciate dal giudice monocratico”. C’è poi un passaggio destinato a fare discutere, perché ipotizza di rivedere lo stop alla prescrizione dopo il primo grado di giudizio introdotto dalla legge Spazzacorrotti. Nel Piano si ipotizza infatti di ampliare l’applicazione dell’istituto della “particolare tenuità del fatto“: in tal senso – si legge – “vengono prese in considerazione eventuali iniziative concernenti la prescrizione del reato, inserite in una cornice razionalizzata e resa più efficiente, dove la prescrizione non rappresenti più l’unico rimedio di cui si munisce l’ordinamento nel caso in cui i tempi del processo si protraggano irragionevolmente”. Il tutto, continua il Piano, è attualmente allo studio di una commissione di esperti che dovrebbe aver già concluso i lavori “entro il 23 aprile”. Il governo Draghi punta ad adottare le leggi delega entro settembre 2021 e nel giro di un anno esatto i decreti attuativi. L’impatto sulla durata dei processi, si legge, “potrebbe verosimilmente stimarsi alla fine del 2024“.
Il processo civile – Nel campo della giustizia civile la prima riforma indicata nel Piano riguarda il rafforzamento degli strumenti alternativi al processo per la risoluzione delle controversie. Il punto di partenza è il disegno di legge delega presentato in Senato dall’ex ministro Bonafede nel gennaio 2020 che prevede, tra le altre cose, un ampliamento delle “garanzie di imparzialità” degli arbitrati, l’estensione dell’applicazione dell’istituto della mediazione e della negoziazione assistita (da allargare alle famiglie non matrimoniali e dell’istituto della mediazione. La tabella di marcia prevede il via libera alle leggi delega entro settembre 2021 e ai decreti attuativi entro settembre 2022. Stesse tempistiche per la riforma del processo civile, su cui l’esecutivo ha intenzione di intervenire in modo “selettivo”: va migliorata la gestione della fase istruttoria con un “calendario del processo” più rigido, saranno istituzionalizzate le udienze da remoto introdotte per il Covid, viene potenziato il filtro di ammissibilità per le impugnazioni. Una novità che non era menzionata nel Recovery del governo Conte è il “rinvio pregiudiziale in Cassazione“: la norma consentirà al giudice di merito di “rivolgersi direttamente alla Corte di Cassazione per sottoporle la risoluzione di una questione nuova“, di “puro diritto”, che “presenti gravi difficoltà interpretative“. L’ultima riforma in ambito civile riguarda il processo esecutivo e i “procedimenti speciali”, con interventi che vanno dalla “riduzione dei termini per il deposito della certificazione ipocatastale” alla semplificazione procedurale delle espropriazioni, fino all’introduzione del meccanismo della “cosiddetta vente privée (vendita diretta del bene pignorato da parte del debitore)”. Anche su questo fronte si punta a chiudere la partita delle leggi delega entro settembre 2021 e nel giro di un anno approvare i decreti attuativi. L’impatto reale di tutte le norme messe in campo sulla giustizia civile si vedrà “alla fine del 2024“.
Ordinamento della giustizia e Csm – Anche sul riordino dell’ordinamento giudiziario e del Csm, come trapelato nei giorni scorsi, la ministra Cartabia ripartirà dalla riforma di Bonafede. Gli obiettivi sono due: da un lato migliorare l’efficienza del sistema e la gestione delle risorse umane, dall’altro garantire un “esercizio del governo autonomo della magistratura libero da condizionamenti esterni“. Il testo del Pnrr è praticamente un copia-incolla del precedente, salvo alcuni passaggi “critici” che sono di fatto spariti dalla versione finale. Le misure in campo sono diverse: affidare ai dirigenti il compito di monitorare carico di lavoro e ritardi dei magistrati; riorganizzare le procure della repubblica, creando anche “gruppi di lavoro” in base alle specifiche attitudini dei pm; ridurre i tempi di accesso alla carriera, ridurre i passaggi da “incarichi giudicanti a incarichi requirenti”. L’ultimo punto è il più delicato: si tratta di riformare il meccanismo di elezione dei consiglieri del Csm, rimodulando “l’organizzazione interna dell’organo”
Non una parola sul fenomeno delle porte girevoli tra Parlamento e Palazzo dei Marescialli, a cui invece il Recovery plan del governo giallorosso faceva esplicito riferimento: in quel testo (datato gennaio 2021) si prevedeva una “nuova disciplina, fortemente restrittiva, delle condizioni che consentono la candidatura dei magistrati per incarichi elettivi e dello status dei magistrati, sia in caso di mancata elezione sia, in caso di elezione, al termine del mandato parlamentare o consiliare; una nuova disciplina, altrettanto restrittiva, dello status dei magistrati che abbiano assunto incarichi di governo nazionale, regionale o locale“. Va detto però che sulla questione la commissione giustizia della Camera ha già adottato come testo base la riforma Bonafede e il plenum del Csm ha espresso il proprio sì allo stop alle porte girevoli tra politica e magistratura. Per quanto riguarda la road map, i tempi sono serratissimi: entro il 15 maggio la commissione di esperti istituita dalla ministra Cartabia dovrà fornire le sue proposte sui vari temi (solo qui si parla genericamente della “disciplina dei rapporti tra magistrati ed attività politica“). Quindi si passerà all’esame in Aula: il governo Draghi ha richiesto infatti la “trattazione prioritaria” della riforma, auspicandone l’approvazione “entro giugno 2021“.
La giustizia tributaria – L’ultimo dossier sul tavolo di via Arenula – una novità rispetto al Pnrr giallorosso – è quello della giustizia tributaria, su cui a metà aprile è stata istituita una commissione interministeriale guidata da Giacinto della Cananea. Un contenzioso tributario veloce è infatti fondamentale per dare “fiducia agli operatori economici”, ma va preliminarmente ridotto quello pendente. Secondo le stime, infatti, alla fine del 2020 risultano accumulati in Cassazione oltre 50mila ricorsi. È significativo, inoltre, che in un caso su due le decisioni della Corte consistano in un “annullamento di quanto deciso in appello dalle commissioni tributarie regionali”. Da qui la necessità di ridurre il numero di ricorsi, ad esempio grazie al rinvio pregiudiziale citato prima. Per quanto riguarda lo smaltimento degli arretrati, invece, sono previste nuove assunzioni con “adeguati incentivi economici” al personale ausiliario. La riforma della giustizia tributaria è l’ultima in ordine di priorità: il governo Draghi stima di approvarla “entro il 2022“.