L’annunciata revisione dell’Irpef dovrà ridurre gradualmente il carico fiscale mantenendo la progressività. Ma anche preservando “l’equilibrio dei conti pubblici“. Sta in quelle quattro parole una delle principali novità spuntate nel capitolo del Recovery plan dedicato alla riforma fiscale dopo il confronto con la Commissione europea, che ha chiesto anche di specificare i tempi di attuazione. Il sottotesto è che, se si decide di modificare le aliquote, le entrate complessive per l’erario non dovranno comunque calare. Risultato facile da raggiungere, comunque, se il governo deciderà di aumentare le tasse alle fasce più abbienti come stanno suggerendo esperti e istituzioni coinvolti nell’indagine conoscitiva avviata dal Parlamento. Rafforzata, poi, la parte sul contrasto all’evasione: per l’Agenzia delle Entrate sono previste 2mila assunzioni aggiuntive ma soprattutto c’è il via libera a strumenti innovativi di analisi dei dati: intelligenza artificiale, machine learning, text mining. Pratiche previste da tutte le best practice internazionali sulla valutazione del “rischio fiscale” ma finora frenate, in Italia, anche da interpretazioni restrittive delle norme sulla privacy. Scompare il riferimento al cashback, che sta dando notevole impulso ai pagamenti tracciabili, ma nulla vieta di rifinanziarlo in legge di Bilancio.
La riforma del fisco, cui aveva iniziato a lavorare il governo Conte senza arrivare però a una proposta concreta, viene individuata come una delle “azioni chiave per dare risposta alle debolezze strutturali del Paese” e quindi “parte integrante della ripresa“. Il documento parte dalle considerazioni fatte da Mario Draghi nel suo discorso per la fiducia: i tanti interventi fatti negli anni, in preda all’urgenza, hanno prodotto una “sempre più marcata frammentazione” e un sistema complesso che frena gli investimenti. Per voltare pagina dando certezze a imprese e famiglie l’intenzione è quella di mettere a punto un testo unico “da fare a sua volta confluire in un unico Codice tributario“. Il governo presenterà entro il 31 luglio una legge delega, tenendo conto dei risultati dell’indagine conoscitiva in corso nelle Commissioni parlamentari. Da cui sta emergendo con chiarezza un orientamento che si è fatto strada nel dibattito internazionale: la necessità di spostare l’imposizione su chi ha maggiori disponibilità e magari puntare sull’introduzione di una patrimoniale. In Italia la parola è politicamente “radioattiva”: si vedrà se il governo che ha il sostegno della maggior parte dei partiti accoglierà l’invito e procederà su questa strada. E se metterà mano, come richiederebbe la progressività, alla flat tax cara alla Lega, che consente agli autonomi con redditi sotto i 65mila euro di pagare solo il 15% di tasse: un’evidente disparità rispetto ai dipendenti nonché un forte incentivo a nascondere parte degli introiti al fisco.
Per ora si può solo prender nota del fatto che nel Piano di Draghi non si specifica – come invece faceva il documento del governo precedente – che la riforma sarà finalizzata a “ridurre la pressione fiscale sui redditi da lavoro medi e medio-bassi“. I decreti attuativi saranno comunque affidati a una commissione di esperti, come aveva anticipato il premier.