Centinaia di vittime, in tutto 130, tra pazienti e loro famigliari. A distanza di due giorni la Commissione governativa irachena per i diritti umani comunica il numero delle vittime morte a seguito dell’incendio divampato nella notte tra sabato e domenica scorsi nell’ospedale Ibn Khatib di Baghdad, dopo che in un primo momento le cifre ufficiali parlavano di 82 morti e 110 feriti.
Dai primi risultati dell’inchiesta in corso è emerso che l’incendio è scoppiato accidentalmente, seguito dell’esplosione di una bombola d’ossigeno nel reparto covid in quel momento affollato di pazienti. Secondo la Commissione, l’area non era però piena solo di pazienti ma anche di loro familiari in visita, “una flagrante violazione delle più basilari norme anti-covid“, si legge nella relazione. Moltissimi corpi carbonizzati sono di difficile identificazione.
Inoltre, si afferma, è stato rivelato che alcuni visitatori avevano introdotto nelle stanze dei pazienti fornelli a gas per cucinare del cibo. La stessa commissione governativa afferma che “l’attrezzatura antincendio presente nell’ospedale non è stata utilizzata perché le persone non erano a conoscenza di dove fosse conservata”. Nel testo della relazione si legge inoltre che molti pazienti sono stati soccorsi da conoscenti e familiari, piuttosto che da squadre di protezione civile.
“La squadra della protezione civile è arrivata sul luogo dell’incendio un’ora dopo”, si legge nella relazione mentre il portavoce del ministero degli Interni, il maggiore generale Khaled al-Muhanna, aveva affermato domenica che la squadra era arrivata “tre minuti dopo lo scoppio dell’incendio”. Al termine della relazione, basata su indicazioni non definitive, la Commissione afferma che “emerge una evidente carenza nel livello di fornitura di servizi sanitari ai cittadini e una flagrante violazione dei diritti umani, in particolare il diritto all’assistenza sanitaria, da parte delle agenzie governative rappresentate dal Ministero della Salute e dall’amministrazione ospedaliera”.