Si tratta della prima sentenza inquadrata nella nuova normativa che disciplina la produzione di cannabis in Italia a scopo terapeutico. De Benedetto, che non era in aula perché non si è sentito bene lunedì sera, ha sempre dichiarato di aver coltivato la sostanza perché non bastava la quantità riconosciutagli a scopi curativi: "E' stato affermato il principio del diritto di cura"
Il gup del tribunale di Arezzo ha assolto perché il fatto non sussiste Walter De Benedetto, il disabile aretino di 48 anni, ex dipendente comunale, malato di artrite reumatoide, una malattia rara neurodegenerativa e altamente invalidante, accusato di aver coltivato cannabis nel giardino della propria abitazione. Il giudice ha sposato la richiesta del pm Laura Taddei che aveva chiesto l’assoluzione. Si tratta della prima sentenza inquadrata nella nuova normativa che disciplina la produzione di cannabis in Italia a scopo terapeutico.
De Benedetto, che non era in aula perché non si è sentito bene lunedì sera, ha sempre dichiarato di aver coltivato la sostanza perché non bastava la quantità riconosciutagli a scopi curativi. La vicenda era iniziata due anni fa con un l’arrivo dei carabinieri nella sua casa. Durante il sopralluogo era stata scoperta una serra all’interno della quale De Benedetto coltivava la cannabis, usata poi per affievolire le sofferenze causate dalla malattia di cui è affetto.
L’uomo ha sempre spiegato che la quantità fornita dal servizio sanitario, nonché i tempi di approvvigionamento non sempre rapidi, era insufficiente per le sue esigenze. “Sono soddisfatto, non solo per me ma anche per tutti coloro che vivono nelle mie stesse difficoltà proprio perché è stato affermato il principio del diritto di cura con la cannabis a solo scopo terapeutico – ha detto De Benedetto dopo la pronuncia del giudice – Ringrazio chi mi ha sostenuto e la mobilitazione che si è creata intorno a me. Da questa sentenza possiamo partire per portare avanti la nostra lotta”.
A pesare sull’orientamento assolutorio della sentenza proprio il fatto, come ha sottolineato il suo legale, che De Benedetto non ha mai fatto uso di droga e ha usato cannabis solo per usi esclusivamente terapeutici. “Siamo molto soddisfatti dell’assoluzione perché il fatto non sussiste. È la soluzione auspicata perché da tempo avevamo chiesto l’archiviazione. De Benedetto non ha mai fatto uso di sostanze stupefacenti”, ha detto dopo la sentenza uno dei difensori, avvocato Lorenzo Simonetti. “Solo per questo la adoperava – spiega ancora il legale – per il dolore che l’artrite reumatoide di cui soffre gli provocava”.
A ottobre De Benedetto si era rivolto anche al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: “Sono malato e senza terapia, per giunta ora indagato per essere stato costretto a violare la legge per non soffrire. Mi chiedo: dove sta il Parlamento?”, era stato il suo appello rivolto al Quirinale. “Mi rivolgo a lei perché un anno fa ho provato a rivolgermi alle istituzioni, venendo fino a Roma in un viaggio per me faticoso, ma pieno di speranza”, spiegò De Benedetto nel suo video-appello.
L’unico membro del governo a pronunciarsi sulla sentenza è la ministra per le Politiche Giovanili Fabiana Dadone. In un lungo post, l’esponente dell’esecutivo Draghi parla di un “giorno storico”. La pronuncia del giudice, scrive la ministra, è “naturale, ovvia, scontata così come sono irrazionali le argomentazioni di chi dice che i malati hanno accesso alla cannabis terapeutica in Italia e che va tutto bene”. “Oggi – ha aggiunto – mi sento di festeggiare questa sentenza e lo faccio con un test antidroga del capello”. Dopo aver ricordato che “in Italia ad oggi i malati sono costretti a battaglie legali perché abbiamo troppi legislatori che rifiutano pregiudizialmente un confronto nel merito”, la ministra Dadone invita “per l’ennesima volta a un atto di coerenza pubblica i detrattori della legalizzazione della marijuana che ritengono ‘cattivi maestri’ quelli a favore”.
“Posso non assumere sostanze stupefacenti – puntualizza Dadone nel post – ed essere a favore della legalizzazione della marijuana, posso essere eterosessuale ed essere a favore dei diritti Lgbt. Non abbiamo bisogno di vivere direttamente un’esperienza per comprenderla, per empatizzare con chi soffre ogni giorno in silenzio i soprusi di una mentalità violenta e repressiva”, scrive ancora. E conclude: “Non siamo noi quelli sbagliati, non siamo noi i criminali e spesso è proprio chi vive di questa linearità di pensiero a nascondere una frustrazione, un segreto. Non abbiate paura e se siete contro la legalizzazione e contro i diritti per chi soffre argomentate le vostre idee senza slogan, senza violenza e senza pregiudizi”.