E se Beppe Grillo, anziché padre del presunto colpevole, fosse stato padre della presunta vittima di violenza? Mi sono fatta questa domanda dopo aver visto il video della sua ormai tristemente famosa sfuriata in difesa del figlio Ciro, accusato insieme ad alcuni amici di avere abusato di una ragazza durante l’estate 2019, dopo una serata passata al Billionaire.
Mi sono chiesta inoltre se davvero l’amore di un padre sofferente può essere un’attenuante a certe frasi pronunciate con imbarazzante leggerezza e scarsa sensibilità. Al silenzio composto finora intelligentemente osservato, infatti, Grillo ha improvvisamente sostituito un violento sfogo social il quale purtroppo non ha sortito l’effetto desiderato. Semmai ha reso abbastanza palese quanto anche un uomo apparentemente fuori dagli schemi sia in realtà imbrigliato a doppio giro in quegli stessi schemi.
L’idea dura a morire che in uno stupro ai suoi danni la donna, in un modo o nell’altro, abbia comunque una responsabilità è figlia di una concezione tristemente consolidata dei rapporti uomo-donna tipicamente maschilista, avvalorata peraltro da tante donne. La verità è che l’idea di Grillo che vomita affermazioni del tipo “se una ragazza viene stuprata la mattina, il pomeriggio fa kitesurf e denuncia dopo 8 giorni, è strano” è quasi inaccettabile. Proprio lui, padre fondatore di un Movimento simbolo di rottura, fatto di giovani e rivolto ai giovani, è quello dal quale meno ci saremmo aspettati una tale superficialità di vedute, una chiusura tipica di quel maschilismo vecchio di generazioni, ma che a quanto pare risulta quasi impossibile da estirpare.
È triste anche constatare però, che sono in molti e molte a trovare normale il fatto che se una donna decide di ubriacarsi in discoteca con un gruppo di ragazzi dovrà mettere in conto che il suo atteggiamento lascivo susciterà le voglie del maschio e pertanto non potrà lamentarsi se quest’ultimo deciderà, in maniera del tutto naturale, di assecondare i propri istinti primordiali. Quel “se l’è cercata” che fa da macabra cornice a molte storie di stupro e dal quale nascono poi la paura e la vergogna che la stessa vittima prova nel momento in cui deve anche solo tentare di affrontare il discorso con un’amica, figuriamoci denunciare l’accaduto.
Più volte ho provato sulla mia pelle quanto questa visione maschilista sia profondamente radicata nella nostra cultura, tutte le volte che la mia gonna corta o un vestito aderente venivano accompagnati da frasi del tipo “Ma dov’è che vai così? Poi non lamentarti se ti mettono una mano sul culo”. Scagionare gli arrapati e condannare chi li arrapa, colpevole di provocarli e attirare troppo i loro sguardi morbosi. Mea culpa, mea culpa, mea grandissima culpa. Noi donne siamo figlie, sorelle, nipoti di persone che vedono il mondo in questo modo, senza trovarlo minimante strano o fuori luogo. Quelle fuori luogo semmai, siamo noi e la nostra vanità, la nostra bellezza ostentata in maniera inappropriata, loro sono solo dei “coglioni che si divertono e ridono”, só ragazzi!
Dunque, la domanda che mi pongo è: ma se Beppe Grillo, anziché trovarsi padre – a suo dire – di un “ragazzino coglione” si fosse trovato dall’altra parte, padre di una giovane donna che racconta di essere stata abusata da un gruppo di ragazzi dopo una serata in discoteca e dell’esistenza di un video che la ritrae ubriaca, in compagnia di quegli stessi ragazzi: come e quale sarebbe stata la sua reazione? Che tipo di considerazioni avrebbe fatto in merito? Come si sarebbe comportato con sua figlia? Le avrebbe urlato contro accusandola di mentire o di essere stata così stupida nell’aver dato fiducia a dei ragazzini arrapati, di averli provocati ballando ubriaca, e di aver quindi meritato quanto accaduto?
Oppure chissà, magari si sarebbe appostato sotto casa di uno dei ragazzi per dargliene di santa ragione, difendendo fino allo stremo le ragioni di sua figlia, in cerca di giustizia per quanto accaduto? E come avrebbe reagito all’idea che il padre di uno di quei ragazzi, un nome molto noto dello spettacolo e della politica italiana, nel tentativo di difendere il proprio figlio dalla pesante accusa di stupro, postasse un video nel quale insinua senza troppi preamboli la malafede di sua figlia?
Perché è chiaro che la gravità di certe affermazioni, quel modo spicciolo di liquidare come serata tra ragazzi una possibile violenza di gruppo, fa pensare a quanti pochi passi avanti siano stati fatti rispetto al passato, a quanto siamo pericolosamente lontani dalla parità di genere o più semplicemente dalla consapevolezza che no vuol dire no, con qualsiasi abbigliamento, in qualsiasi situazione, sempre e ovunque. Senza attenuanti, senza dubbi a riguardo.
Questo video accorato, questa spettacolarizzazione di una vicenda drammatica, a mio parere ha penalizzato non solo l’immagine pubblica e il ruolo politico di Beppe Grillo, ma soprattutto il ruolo di padre. Un padre che comprensibilmente difende il proprio figlio, ma che ha anche il dovere di insegnare a quello stesso figlio che le donne non sono giocattoli da festa sulla spiaggia, accessori carini che fanno da contorno ad una serata tra giovani maschi arrapati “che si divertono e ridono in mutande, saltellando col pisello in mano”.
Può sembrare strano, ma ci sono momenti in cui tacere è il modo migliore per dare peso e serietà ad una vicenda grave. Per affrontare tutto con dignità e grande umiltà. Beppe Grillo ha perso un’occasione, ma soprattutto l’ha fatta perdere a suo figlio, vero protagonista di questa triste storia. Ma non pare accorgersi del danno, infatti è notizia di poco fa che avrebbe chiesto di eseguire un’indagine privata sulla personalità e le abitudini della ragazza, poi anche una perizia del medico legale. Una sorta di “indagine conoscitiva”, forse per meglio sostenere la tesi del “se l’è cercata”, per l’appunto.
Ora sì che ho finito le parole.