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Gasdotti ed energia pulita: in Grecia le alleanze passano dalla gas-diplomacy. E il governo chiede garanzie agli investitori

Fino a poco tempo fa Atene occupava stabilmente le ultime posizioni in Ue quanto a transizione energetica, ma ora vuole accelerare. E chiede investimenti significativi e vincolanti in infrastrutture a chi si aggiudica asset strategici come i porti

Isole ad energia pulita, addio al carbone e policies legate ai nuovi gasdotti. La Grecia prova a cambiare passo alla voce dossier energetico, sia in chiave ambientale che economica e geopolitica, forte del fatto che sul proprio suolo e sotto il suo mare transitano tre gasdotti come il Tap, il Tanap e l’Eastmed (quando sarà ultimato).

Una delegazione governativa della Macedonia del Nord, guidata dal primo ministro Zoran Zaef, si recherà in Grecia tra pochi giorni per firmare un accordo significativo: verrà avviata la costruzione dell’interconnector del gas tra i due Paesi che parlerà anche un po’ italiano, visto che il player greco coinvolto, Desfa, è partecipato da Snam. La società greca Gastrade SA ha annunciato la firma degli accordi per la cooperazione di National Energy Resources (Ner Ad) Skopje e AD Power Plants of Northern Macedonia (AD ESM) con il terminale Gnl. Un altro anello della lunga catena energetica che sta cementando interlocuzioni da Israele fino al costone balcanico.

Il tutto farà “base” nell’unità galleggiante di stoccaggio e rigassificazione (Fsru) offshore di Gnl nei pressi di Alexandroupolis con una capacità di 5,5 miliardi di metri cubi all’anno. Il porto di Alexandroupolis è strategico anche in chiave geopolitica, dal momento che vi transitano le pipeline del gasdotto Tap ed è stato interessato, negli ultimi quattro anni, da una frenetica attività da parte della Marina americana. Gli Usa sono interessati ad una partecipazione nella privatizzazione di quel porto, oltre che in quella di Igoumenitsa, Kavala e Volos, tramite società private ma con finanziamenti della Us International Development Finance Corporation (Dfc). In sostanza Alexandroupolis e Kavala hanno enormi potenzialità come hub energetici perché collegano l’Egeo con l’Europa centrale e orientale.

L’azione si inserisce all’interno di quella che è stata ribattezzata la gas-diplomacy, nuova cartina tornasole anche nei Balcani oltre che nel versante euromediterraneo, per definire alleanze e relazioni internazionali sotto il comun denominatore dei nuovi gasdotti. Per questa ragione la nuova normativa greca relativa alle privatizzazioni di asset così strategici come i porti in questione è stata rimodulata rispetto al passato: il governo, che spera di incassare almeno 2.5 miliardi di euro, chiede agli aggiudicatari della call pubblica investimenti significativi e vincolanti in infrastrutture, al fine di massimizzare i benefici per l’economia e garantire che si presentino ai nastri di partenza solo investitori solidi, come accaduto al Pireo con Cosco e a Salonicco con un consorzio franco-ellino-tedesco.

Inoltre, al fine di garantire uno schermo di sicurezza per i mutati interessi nazionali, proprio legati ai gasdotti, è stata introdotta una clausola secondo la quale può essere rifiutato l’accesso al porto a qualsiasi nave la cui presenza rappresenti una minaccia alla sicurezza nazionale. Una primizia, guardando alla storia recente del paese.

Tra l’altro la Grecia è al centro anche di un rinnovamento legato alle vecchie centrali, con l’obiettivo di chiudere tutti gli impianti di lignite entro il 2025, con tre anni di anticipo sulla tabella di marcia stilata dal governo nel 2019: in questo modo il paese entra ufficialmente nel club dei paesi che adottano pienamente i principi dell’energia pulita, dicendo addio all’era del carbone.

La Grecia fino a poco tempo fa occupava stabilmente le ultime posizioni in Ue quanto a transizione energetica, con l’appendice di vari contrasti in seno alle autorità di Bruxelles. L’obiettivo adesso è principalmente quello di accelerare nella transizione energetica per ridurre le emissioni nocive. Un esempio su tutti dà la cifra del cambiamento: la Public Power Corp (Ppc), una società partecipata dallo Stato al 51%, ha emesso la sua prima obbligazione ad alto rendimento legata alla sostenibilità. Fino a 12 mesi fa la società perdeva un miliardo all’anno, mentre oggi si fa avanti con il suo primo green bond.

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