Giorni e settimane intense quelle che stiamo vivendo politicamente sul fronte africano, nella definizione dei nuovi obiettivi di Europa e Italia in Sahel e in Libia. Proprio la scorsa settimana, sono state pubblicate le conclusioni del Consiglio europeo sulla strategia integrata per il Sahel. Un’area dell’Africa che da anni è attraversata da una gravissima crisi umanitaria innescata dagli effetti del cambiamento climatico e dai conflitti in corso.

Ebbene, per quanto la strategia europea presenti alcuni punti positivi, appare al momento come un insieme sconnesso di indirizzi. In teoria si guarda alla governance, alla tutela dei diritti umani e allo spazio di partecipazione civile, ma in realtà si affronta la crisi con un approccio che mira più alla securizzazione dell’area e al controllo delle frontiere e dei flussi migratori verso l’Europa, che a sostenere lo sviluppo, la lotta alla povertà e la ripresa della regione.

Un indirizzo che trova conferma, quando nel documento pubblicato qualche giorno fa, si parla di short-term stabilisation e poco sotto si legge che: “L’Ue rimarrà attiva nella lotta contro terrorismo e gruppi armati, traffico transfrontaliero e criminalità organizzata. E (…) continuerà a sostenere l’azione intrapresa dai paesi del G5 Sahel (Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger) e dalla loro forza congiunta (…), anche attraverso missioni militari e civili svolte nell’ambito della politica comune di sicurezza e difesa”.

Necessario un cambio di rotta nella strategia europea

Secondo Oxfam, al contrario di quanto descritto, è necessario che l’Europa faccia suo un approccio integrato che abbia al centro la pace e la protezione delle persone nella regione, assieme alla lotta alla povertà e alle enormi disuguaglianze che lì persistono.

Soprattutto ciò che manca nella strategia europea sono la voce e le istanze delle comunità locali. Un punto su cui l’Ue può ancora correggere il tiro, coinvolgendo la società civile del Sahel nella fase di attuazione: potrebbe sembrare un compito arduo, ma i saheliani meritano di partecipare alle decisioni che vengono prese per la loro regione.

La strategia italiana per la “stabilizzazione” di Sahel e Libia

Cosa farà l’Italia rispetto a questa strategia europea? Con un linguaggio più diretto non gira intorno alla questione, stando a quanto dichiarato dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini il mese scorso in audizione presso le Commissioni Difesa di Camera e Senato: “(…) In aggiunta agli impegni già in atto, quest’anno intendo poi rafforzare la nostra presenza in Mali e Niger, aumentando così l’apporto europeo alla coalizione per il Sahel, a vantaggio della stabilità di un’area adiacente alla Libia, e contribuendo al contrasto al terrorismo nella regione. La partecipazione alla Task Force TAKUBA, già decisa nel 2020, prevede l’impiego di elicotteri per attività di evacuazione medica e, proprio domani, è previsto l’avvio delle attività con la partenza della prima aliquota di personale”.

In quell’occasione il ministro ha anche parlato di Libia dicendo che: “(…) Contestualmente, la stabilizzazione della Libia resta la nostra priorità strategica” e che “occorre sviluppare una nuova visione, che si traduca in una nostra presenza rafforzata, che sia quindi visibile e percepita come fattore di stabilità”.

Per chiudere il cerchio, è interessante analizzare anche il poco che è emerso dalla visita lampo della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese di qualche giorno fa in Libia. Da una parte si rinnova l’impegno a contenere i flussi migratori nel Mediterraneo centrale – visto l’incremento di marzo – invitando a Roma le autorità libiche a un incontro con le agenzie Onu al fine di fare progressi sul fronte del rispetto dei diritti umani. Dall’altra, la richiesta libica di moderne tecnologie anti-terrorismo e corsi di formazione per l’aviazione della polizia, la sicurezza costiera e altri nel campo della lotta all’immigrazione illegale.

Proprio in questi giorni inoltre si sta completando il dossier che riguarda le missioni internazionali, che sarà sul tavolo del Consiglio dei Ministri presumibilmente a maggio. Saremo facili profeti nel dire che molto probabilmente vedremo aumenti sostanziosi nelle missioni nel Sahel e ritocchi verso l’alto anche in quelle in Libia, così da rafforzare le relazioni appena allacciate con il nuovo governo del paese nord-africano.

In mare, invece, sappiamo già che verrà confermata la missione Irini, del tutto inutile a fermare il flusso di armi verso la Libia e, assieme a Mare Sicuro, inefficace per salvare i migranti, che continuano a morire, come accaduto ieri con più di cento persone annegate al largo delle coste libiche e la Guardia costiera che (secondo le ricostruzioni) si è rifiutata di intervenire, a causa delle condizioni meteo.

Bene Letta, ora ascolti la società civile!

In un quadro politico che ha mostrato una sostanziale continuità dal 2017 ad oggi, due sono le figure nuove degli ultimi mesi: Mario Draghi, che ha già espresso la propria visione sulla questione libica ed Enrico Letta. Solo pochi giorni fa, il neo segretario del Pd si è fatto fotografare con la felpa di Open Arms, dopo che da Presidente del Consiglio nel 2014 ha avuto il grande merito di mettere in piedi Mare Nostrum, l’ultima missione navale nel Mediterraneo il cui obiettivo primario era salvare la vita delle persone. Proprio sabato Letta, commentando quest’ultima tragedia, ha usato parole chiare dicendo che sulle politiche migratorie “non si è voluta imparare la lezione, sperando che il problema si risolvesse da solo”.

Ha fatto anche due proposte, una condivisibile, ovvero che la missione navale Irini abbia obiettivi di ricerca e soccorso e l’altra che i corridoi umanitari diventino via maestra per la gestione dei flussi. Su questi ci sentiamo di dire che, pur ottimi se intesi come strumento che gli Stati membri vogliono usare per evacuare la Libia, non sono sufficienti.

La questione è ben più ampia e riguarda anche la gestione e la regolarizzazione di nuovi canali di ingresso per chi, ad esempio, ricerca lavoro; occorre andare finalmente oltre alla mera chiusura dei flussi. Per cui vorremmo chiedergli: cosa ne pensa delle politiche italiane ed europee rivolte al Sahel e al nord africa? E della securizzazione usata come strumento di stabilità nel breve periodo ma anche funzionale all’esternalizzazione delle frontiere? Quale bilancio fa delle politiche legate all’accordo Italia-Libia? La considera una priorità superare la Bossi-Fini? La società civile da anni avanza tutta una serie di proposte per capovolgere l’approccio, sposato anche dal Pd, sulle politiche migratorie. E’ disposto ad ascoltarle e a discuterle?

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