La possibilità che le acque del fiume possano espandersi nella piana alluvionale – e, con l’acqua, le sostanze nutrienti e i sedimenti – è un fattore fondamentale per il sostegno degli ecosistemi fluviali. Questa funzione è stata via via ridotta dalle attività umane. Escavazioni, bonifiche, urbanizzazioni hanno invaso gli alvei e le zone riparie destinate a essere periodicamente inondate. Bisognava sviluppare l’agricoltura, espandere le città, accogliere infrastrutture vitali. È stato un passo importante per migliorare la qualità della vita individuale e sociale, ma questi sviluppi hanno trascurato un po’ troppo la natura e, soprattutto, sottovalutato i limiti fisici che la Terra impone all’umanità, limiti che si manifestano a tutte le scale spaziali e temporali.

La piana alluvionale raccoglie buona parte della materia organica e inorganica che scende a valle. Le zone riparie che vengono periodicamente allagate sono perciò l’habitat ideale per un’ampia varietà di organismi. Acqua, sostanze disciolte, sedimenti e materia organica si muovono da monte a valle, ma le singole molecole di acqua o soluto o i sedimenti possono essere trattenuti nella piana per periodi più o meno brevi. Dai pochi minuti di alcuni composti organici che vengono rapidamente rimossi ai diecimila anni dei sedimenti, come accade lungo i fiumi maestosi, dal Nilo al Rio delle Amazzoni.

I depositi alluvionali dipendono dal moto dell’acqua nel corridoio fluviale. È un moto complesso, a tre dimensioni, diverso da quello della corrente a sola una dimensione che siamo abituati a osservare in un canale artificiale. Gli scambi delle acque, dei soluti, dei sedimenti e del materiale organico tra l’alveo, la piana alluvionale, il suolo e il sottosuolo sono irregolari, casuali, apparentemente caotici. E creano un ambiente dinamico in grado di ospitare habitat diversificati.

Durante le piene, lo stoccaggio temporaneo dell’acqua nella pianura inondata aiuta a fronteggiare gli eventi estremi. Un contributo importante a difesa degli insediamenti di valle, capace di rallentare e appiattire l’onda di piena. Per contro, l’infiltrazione nell’acquifero della piana aiuta a sostenere il deflusso di base durante i periodi di siccità. Nutrienti come l’azoto e il fosforo sono necessari alla maggior parte degli organismi viventi, ma l’uomo ha immesso nei fiumi quantità talmente elevate di queste sostanze da creare gravi problemi ambientali, dalla eutrofizzazione alla mancanza di ossigeno disciolto. Inquinanti come i metalli pesanti o altre sostanze chimiche di sintesi, che aderiscono ai limi e alle argille, si possono trattenere nella piana alluvionale, limitandone le concentrazioni di valle.

Ripristinare le piane alluvionali è utile e necessario per almeno tre ragioni. In primo luogo, la laminazione della piena esercitata dalla piana inondabile riduce la pericolosità dell’evento a valle, contribuendo in modo significativo a mitigare il rischio alluvionale. Un rischio legato non solo alla furia dell’acqua, ma anche al trasporto solido dei sedimenti e dei galleggianti.

In secondo luogo, le pianure alluvionali possono ospitare elevati livelli di biodiversità, fornendo importanti servizi eco-sistemici, come acque pulite, controllo dell’inquinamento, un habitat in armonia con il paesaggio. Ma sono capaci di farlo soltanto se preservate o ripristinate nella loro funzione.

Per ultimo, le pianure alluvionali sono state sottratte al bene comune e abbandonate all’iniziativa, pubblica e privata, che ne dispone in modo affatto indipendente da ogni contesto fisico, geografico, ambientale, paesaggistico. Sono contesti apprezzabili soltanto a scala di bacino idrografico, raramente sul waterfront locale. Da secoli, le acque sono soggette a normative che ne tutelano quantità e qualità, governate da magistrati delle acque che furono costituiti, in varia forma, in tutta Europa nel corso del tempo. Una tutela ben presente tuttora nella legislazione europea e nazionale. Limitare i confini dei fiumi agli argini che ne contengono rigidamente le acque, quando queste non tracimano, non basta a garantire un paesaggio fluviale resiliente.

Negli ultimi 200 anni, l’ingegneria fluviale europea si è troppo focalizzata sulle opere civili. Le opere non sono inutili. Possono essere efficaci e abbastanza efficienti, dai muraglioni parigini, torinesi e romani di fine ‘800 alla platea ribassata di Ponte Vecchio a Firenze dopo l’alluvione del 1966. Ma hanno limiti evidenti, come ha dimostrato la piena parigina del 2018, pur laminata da quasi un miliardo di metri cubi d’invaso artificiale a monte della città.

Proprio perché si tratta di uno strumento temporaneo, Next Generation Eu potrebbe svolgere una funzione culturale e sociale importante, promuovendo idee davvero innovative in questo campo. Lo potrà fare solo se convincerà sia i tecnici, sia i gestori, sia i decisori politici ad abbandonare la tradizionale concezione mono-dimensionale del paesaggio fluviale. E a sostituirla con una più moderna visione multi-dimensionale.

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