Si tratta di uno dei presunti più gravi disastri ecologici avvenuti a Nordest, ma con pochi precedenti al mondo, per lo scarico, continuato per anni, di sostanze perfluoroalchiliche altamente tossiche per l'organismo, meglio conosciute come Pfas. In totale le persone interessate all'acqua che sarebbe stata contaminata sono circa 300mila
Sarà la Corte d’assise di Vicenza, considerata la gravità dei reati contestati, ad occuparsi dell’inquinamento causato dalla Miteni di Trissino. Si tratta di uno dei presunti più gravi disastri ecologici avvenuti a Nordest, ma con pochi precedenti al mondo, per lo scarico, continuato per anni, di sostanze perfluoroalchiliche altamente tossiche per l’organismo, meglio conosciute come Pfas, sostanze usate nell’industria per rendere resistenti all’acqua tessuti, carta e contenitori per alimenti. Sono finite nella falda che scorre sotto buona parte del Veneto, in particolare nelle province di Vicenza, Padova e Verona. I danni riguardano decine di migliaia di persone. Il giudice per le indagini preliminari Roberto Venditti ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio dei sostituti procuratori Hans Roderich Blattner e Barbara De Munari, nei confronti di 15 imputati, dopo la riunificazione avvenuta alcune settimane fa dei due tronconi dell’indagine. A vario titolo, i reati contestati sono quelli di avvelenamento delle acque, disastro doloso, inquinamento ambientale e bancarotta fraudolenta per il fallimento della società per azioni, poi acquisita da una proprietà giapponese. Prima udienza l’1 luglio.
Il drappello di imputati è costituito da manager giapponesi della Mitsubishi Corporation, della lussemburghese International Chemical Investors (controllante di Miteni dal 2009) e della Miteni stessa. Kenji Ito, Naoyuki Kimura, Yuji Suetsune e Maki Hosoda sono manager di Mitsubishi; Patrick Schnitzer e Akim Riemann fanno parte di Icig; Alexander Smit, Brian Mc Glynn, Luigi Guarracino di Alessandria, Mario Fabris di Padova, Davide Drusian di Treviso, Mauro Colognato di Dolo e Mario Mistrorigo di Arzignano sono tutti dirigenti della Miteni che si sono succeduti nel tempo. Sarà imputata anche la società Miteni spa, con l’addebito di bancarotta per il mancato accantonamento delle somme necessarie per la bonifica dei terreni e delle acque contaminate. Mitsubishi Corporation e International Chemical Investors sono stati citati come responsabili civili, per rispondere in solido del danno.
Le parti civili costituite sono oltre duecento, tra loro molte associazioni di tutela della salute (ad esempio le Mamme No Pfas) e dell’ambiente, quattro società idriche che sono state danneggiate (Acque del Chiampo, Viacqua, Acquevenete e Acque Veronesi), Ministeri, Comuni e Regione Veneto. Le contestazioni legano, senza soluzione di continuità, i comportamenti dei vertici aziendali che avrebbero continuato a sversare le sostanze nelle acque sotterranee e di falda, anche se erano a conoscenza dell’inquinamento in atto e senza adottare le precauzioni richieste dalla legge.
La vicenda dei Pfas è diventata di pubblico dominio nel maggio 2013, quando il ministero dell’Ambiente comunicò alla Regione Veneto l’esito di uno studio commissionato al Cnr-Irsa da cui emergevano le concentrazioni preoccupanti di Pfas nelle acque potabili di alcuni comuni veneti. Fino al 1988 l’azienda era denominata Rimar Chimica e faceva parte del gruppo Ricerche Marzotto. In quell’anno fu acquistata da Mitsubishi ed Enichem. Nacque così l’acronimo Miteni. Poi la società divenne completamente di proprietà giapponese.
Durante l’ultima udienza, prima della camera di consiglio di tre ore, i difensori hanno cercato di smontare le tesi dell’accusa, aggrappandosi a questioni procedurali e di competenza. Hanno inoltre sostenuto che non vi siano certezze nel panorama scientifico sugli effetti nocivi delle sostanze perfluoroalchiliche per l’uomo, con la conseguenza di mancanza di volontarietà da parte degli imputati. Infine, hanno chiesto il trasferimento a Trento, per consentire un giudizio non condizionato dall’opinione pubblica colpita dall’inquinamento.
Il gip ha invece ritenuto che la tesi dell’accusa, centrata su reati dolosi e non colposi, debba essere valutata in un dibattimento. In Corte d’assise si aprirà una battaglia non solo giuridica, ma anche scientifica e tecnica per valutare l’entità dei danni causati, oltre alle responsabilità individuali. L’inquinamento ha indotto la Regione ad avviare una campagna di screening sulla popolazione colpita (quasi 80mila persone). Della cosiddetta “area rossa A” fanno parte 13 Comuni (8 vicentini, 4 veronesi e uno padovano), dell’”area rossa B” fanno parte 17 Comuni (2 vicentini, 6 padovani, 9 veronesi), dell’”area gialla” almeno un’altra cinquantina di comuni veneti. In totale le persone interessate all’acqua contente Pfas sono circa 300mila.