“Così gli Istituti tecnici scientifici si ammazzano. I soldi finiranno a università ed enti di formazione. Si perderà il collegamento diretto con il mondo del lavoro e l’età di ingresso, che dovremmo ridurre, si alzerà”. Marco Bentivogli, ex segretario della Fim Cisl, oggi coordinatore dell’associazione Base Italia, premette di essere “uno sostenitore del governo Draghi“. Ma la parte del Recovery plan dedicata alla riforma di quella che è la punta di diamante della formazione terziaria professionalizzante in Italia. Un sistema di 109 fondazioni ognuna delle quali vede tra i fondatori, oltre a un istituto superiore, un dipartimento universitario e una struttura formativa accreditata dalla Regione, anche un’azienda. Il programma – di solito biennale – è disegnato su misura delle imprese del territorio, il 70% dei docenti viene dal mondo del lavoro e almeno il 30% delle ore di corso è dedicato ai tirocini. Il risultato è che la percentuale di occupati a un anno dal diploma è superiore all’80%.

Il premier li aveva citati già nel discorso al Senato per la fiducia, a febbraio, ricordando che “in Francia e in Germania questi istituti sono un pilastro importante del sistema educativo” e spiegando che era necessario “innovarne l’attuale organizzazione”. Così la versione definitiva del Pnrr vede confermato lo stanziamento previsto dal governo precedente: 1,5 miliardi per rafforzare il sistema con l’obiettivo di aumentare il numero degli istituti, potenziare i laboratori con tecnologie 4.0 e raddoppiare gli iscritti, oggi meno di 19mila contro gli oltre 900mila delle Fachhochschulen tedesche. Cosa c’è che non va, quindi? Accanto all’investimento è prevista anche una riforma, affidata al ministero dell’Istruzione con la collaborazione di quello dell’Università e della Ricerca. E sono le anticipazioni su questo fronte a far dire a Bentivogli che il governo ha scelto un’impostazione sbagliata. Il documento anticipa infatti che si punta a “un’integrazione dei percorsi Its con il sistema universitario delle lauree professionalizzanti“.

E’ questo a non convincere l’ex segretario della Fim, che da anni si occupa del collegamento tra innovazione tecnologica, sviluppo delle competenze e politica industriale. “Il messaggio è che i fondi stanziati andranno alle università o ai centri di formazione professionale, che in alcuni casi sono finiti al centro di vicende poco edificanti legate proprio alla gestione di soldi europei”, spiega Bentivogli. “Così andrà a finire che ai diplomati Its verranno riconosciuti dei crediti universitari per incentivarli a continuare il percorso di studi: ma le aziende che faticano a trovare personale con determinati skill cercano persone ora, tanto che spesso “prenotano” i ragazzi già al momento dell’iscrizione. Vorrebbe dire segnare la fine di un sistema che funziona. Si deve fare il contrario: collegare strettamente questo percorso con l’apprendistato, come in Germania”. La palla ora passa ai ministeri che dovranno mettere nero su bianco le nuove regole.

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