Blitz all’alba, 300 militari in azione, 51 arresti. Risultato: smantellata la piazza di spaccio della borgata romana di Tor Bella Monaca e azzerati i suoi vertici. È il risultato dell’operazione dei Carabinieri del Comando Provinciale di Roma, che hanno agito con le unità cinofile e il supporto degli elicotteri del Nucleo Carabinieri di Pratica di Mare. Le indagini hanno permesso di ricostruire i ruoli dei vari membri all’interno dell’organizzazione che faceva capo a tre fratelli che gestivano l’attività delinquenziale della piazza di spaccio che si trova su via dell’Archeologia 106. Circa 600.000 euro mensili il giro d’affari. Come in una perfetta organizzazione aziendale i pusher che si rivelavano capaci ed affidabili venivano promossi a ruoli di supervisione, andando a formare un efficiente organigramma di tipo manageriale dove i compiti erano suddivisi rigidamente, e dove chi sbagliava subiva punizioni gravissime: si è arrivati a registrare veri e propri sequestri di persona ai danni di associati “infedeli” ed addirittura di loro familiari, rapiti per essere brutalmente picchiati. Con riferimento a quest’ultima contestazione è stata riconosciuta l’aggravante di avere agito con il metodomafioso“.

L’indagine che ha portato al blitz di stamattina, arricchita anche dalle rivelazione di due pentiti, ha ricostruito l’attività illecita che avveniva, di fatto 24 ore su 24, nella zona della borgata conosciuta come “Ferro di Cavallo”. In totale 44 soggetti sono stati raggiunti dalla misura cautelare in carcere e 7 ai domiciliari. A 37 degli indagati è contestato il reato associativo. I due pentiti, membri attivi del sodalizio, hanno deciso di collaborare con gli inquirenti dopo le vessazioni (sequestro di parenti a scopo di estorsione) subite da altri appartenenti al gruppo criminale perché “rei” di errori nella gestione della droga. L’inchiesta ha permesso di ricostruire i ruoli dei vari sodali all’interno dell’organizzazione, con a capo i tre fratelli che gestivano l’attività della piazza. Uno di loro è stato arrestato nel mese di febbraio per tentato omicidio aggravato dal metodo mafioso, poiché ha gambizzato, nel 2016, un altro appartenente all’organizzazione per controversie legate al controllo del territorio. La banda riusciva a guadagnare circa 20mila euro al giorno. Soldi che hanno permesso agli associati sia di impiegare i proventi illeciti in varie attività commerciali e condurre una vita fatta di lussi con auto, gite in elicottero e orologi costosi. La droga, cocaina ma anche eroina e hashish, veniva nascosta nei serbatoi dei veicoli in sosta, cantine occupate abusivamente munite di inferriate, sotto le piante delle aiuole. Lo spaccio sulla strada rappresentava per il sodalizio una vera e propria ‘strategia di marketing‘, adottata per garantire introiti più remunerativi agevolati dalla viabilità del luogo di accesso e di allontanamento dal quartiere.

Tra i fornitori dell’organizzazione che controllava il Ferro di Cavallo di Tor Bella Monaca, inoltre, c’erano anche un esponente della famiglia Spada e un membro della comunità nigeriana, come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato al blitz di stamattina. L’organizzazione criminale, si legge nelle carte, ha dato prova di una grande capacità di sopperire ai numerosi arresti effettuati dai carabinieri del Gruppo di Frascati, sempre pronti a rimpiazzare i numerosi pusher che sono stati arrestati e che, in ogni caso, scontata la loro pena spesso tornavano a spacciare o venivano reimpiegati in altri ruoli. Un aspetto fondamentale che emerge dall’ordinanza che ha disposto le misure cautelari e che differenzia la piazza colpita quest’oggi dalle altre piazze operanti nell’area, è la contestazione dell’aggravante del metodo mafioso, in relazione ad alcuni delitti contestati ai vertici che mette in luce la pericolosità del sodalizio, munito peraltro di una larga disponibilità di armi da fuoco. La violenza degli associati è uno dei punti caratterizzanti dell’associazione, pericolosità ben espressa nelle parole del gip: “Non è in proposito da trascurare la rilevantissima circostanza che le pretese estorsive così come i sequestri di persona sono stati avanzate secondo uno schema di azione ampiamente noto e collaudato. Questa situazione appare chiaramente sintomatica del fatto che gli indagati non hanno esitato ad utilizzare la forza intimidatrice tipica del metodo mafioso, con modalità eclatanti ed evocative dell’appartenenza da un gruppo criminale organizzato tale da incutere nelle vittime una condizione di assoggettamento. Trattasi di condotte che costituiscono diretta espressione del metodo mafioso – continua il gip – essendo connotate da un evidente utilizzo della forza di intimidazione propria degli appartenenti alle associazioni di cui all’art. 416 bis e che si inseriscono in un contesto del tutto peculiare ed estraneo alle logiche della criminalità comune, di assoluta omertà, in considerazione della pericolosità del gruppo riconducibile a L. D. e ai suoi consociati”.

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